Dal 28 marzo al 25 giugno 2017, il Complesso Museale “Chiostri di Sant’Eustorgio” di Milano accoglie The Guardians, la personale di Adrian Paci. La mostra, curata da Gabi Scardi vede il complesso di Sant’Eustorgio ospitare l’arte contemporanea – coinvolgendo luoghi di particolare fascino e di straordinaria importanza storica, come il Cimitero Paleocristiano e la Cappella Portinari in sant’Eustorgio e la Sala dell’Arciconfraternita del Museo Diocesano.
“Le opere di Adrian Paci nascono come risposta a una ricerca di senso dettata da necessità interiori e come modo attivo di pensare la contemporaneità. Nel suo lavoro, che si nutre di una profonda familiarità con la storia dell’arte, convivono l’osservazione delle dinamichesociali del presente, attenzione per la densità simbolica dei gesti e un interesse per le possibilità interpretative delle immagini. Motivi centrali della sua opera sono il viaggio, l’attraversamento, l’attesa, che è anzitutto aspettativa di futuro, e il rapporto con il luogo e il tempo dell’origine, che non sono tanto dimensioni alle quali tornare, quanto riferimenti profondi da portare con sé, affinchè gli atti, anche i più quotidiani, si possano manifestare nella loro densità di significato. Albanese di nascita, italiano di adozione dal 1997, nella migracità Adrian Paci vede la condizione più propria dell’uomo e dell’artista, un continuo stimolo a immaginare nuovi modi di vivere, nuove possibili relazioni con il contesto e anche nuovi linguaggi con i quali esprimersi. La sua pratica artistica che non conosce confini. Le immagini che lo attraggono sono specifiche, attuali e danno adito a profonde riflessioni sul rapporto tra economia e giustizia sociale. Nello stesso tempo vi è possibile leggere l’intera storia dell’uomo; sono gesti sobri, intimi e solenni insieme, capaci di farsi esemplari in virtù di una matrice antica e profonda; vi si individua quel sostrato emotivo e culturale che, come un minimo comune denominatore, avvicina gli uomini. Così nelle sue opere, l’attenzione nei confronti del presente genera slittamenti di piano verso significati ulteriori: con il loro nucleo denso, non immediatamente parafrasabile, ma carico di rimandi e di risonanze, ognuna di esse si offre a innumerevoli possibilità di lettura.”
The Encounter. Il sagrato di una chiesa antica; al centro un uomo in piedi scambia una stretta di mano con centinaia di persone che, abbigliate come in un giorno qualsiasi, verso di lui convergono non si sa da dove, né perchè e poi proseguono, lasciandoselo alle spalle. Il gesto è semplice, concreto, consueto, ma significativo: la stretta di mano è saluto, scambio, suggello, fratellanza. Nell’ambito dell’opera ne accentuano il valore rituale sia il fatto che il tutto si svolga in un luogo deputato all’incontro, sia la ripetizione, che lo trasforma in una sorta di cerimonia. Del resto, dice Paci, “Sono attratto dai rituali del passato, che hanno un legame più autentico con i ritmi della vita.” Sottolineando la pregnanza di questo gesto, ancora una volta l’artista fa emergere un elemento antico, comune a diverse culture, senza però disgiungerlo dal contesto attuale.
Home to go. La sagrestia monumentale ospita la scultura a grandezza naturale in polvere di marmo e resina, in cui l’artista si ritrae come una sorta di viandante, spoglio di tutto, con un tetto sulle spalle, quasi si trattasse di un paio di ali. La figura richiama alla mente iconografie classiche e religiose. L’opera costituisce un’espressione eloquente e sintetica della fatica di avanzare carichi di memorie, e della ricchezza irrinunciabile, ma anche del pesante fardello rappresentato da un’identità complessa e stratificata. Oggi l’idea di mobilità, di scambio e di velocità diventano condizioni di vita e dimensione psicologica diffusa. Eppure conciliare il senso di appartenenza con la realtà della dislocazione geografica resta un’esperienza complessa.
Rasha. Il video nasce dall’incontro di Adrian Paci con Rasha, una donna palestinese che viene dalla Siria recentemente approdata a Roma grazie ai corridoi umanitari. Rasha viene ripresa mentre racconta la propria storia. Le immagin che scorrono nel video, però, corrispondono ai momenti in cui, tra una frase e l’altra, la donna tace, in attesa che le sue parole vengano tradotte. Così la vediamo ascoltare la propria stessa storia, reinterpretata. In queste fasi di silenzio la sua postura, i gesti, le espressiono che le si alternano sul volto comunicano non solo la tensione del racconto, ma tutta la forza di un’esperienza vissuta che non è del tutto parafrasabile a parole. Tra la narrazione verbale e quella del corpo, tra il volto silenzioso e la voce che racconta in arabo, si crea una sfasatura. Le mille sfaccettature dell’espressione del volto della donna parlano più delle sue parole. Rasha diventa la protagonista non solo della storia e del racconto, ma anche dell’ascolto di questa storia. Rasha è un’opera sulla complessità del racconto; su come l’esperienza si faccia racconto e linguaggio non solo attraverso la parola, ma anche attraverso il linguaggio del corpo.Su un foglio che è possibile portare via con sé ritroviamo, tradotte, le parole di Rasha.