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Intervista Joys e Peeta. In mostra alla Wunderkammern gallery di Milano

Wuderkammern Peeta Peeta Pla, 30x30cm, oil on wood, 2017

Apre il 10 maggio My good old habits  la mostra di Joys e Peeta alla galleria Wunderkammern di Milano. L’esposizione ha come tema centrale quello dell’abitudine che nel suo ripetersi diventa routine e tradizione. Per l’occasione abbiamo intervistato i due artisti.

Wunderkammern Peeta
Peeta@Campocasso/Draw the Line 2016 ©Daniele Pace per il progetto #Insideartist

Che cos’è per voi la routine?

Peeta: Una ripetizione che viene metabolizzata fino a diventare abitudine.
Joys: La routine la vedo come una cosa negativa, mentre le buone abitudini possono anche essere routine. Le sane abitudini ti fanno stare bene e impiegare il tuo tempo in modo positivo. Siamo noi a scegliere le buone abitudini, le routine sono più “imposte”.

Qual è la routine con cui vi confrontate ogni giorno?

P: Essendo spesso in viaggio per lavoro, la mia vita funziona più in maniera casuale che abitudinaria e reinvento le mie routine rispetto a dove sono e che devo fare. Quando posso stare in studio porto avanti più delle metodologie di lavoro che delle abitudini di vita. Sicuro una routine prima di andare in studio è passare a bere un caffè e fermarmi a guardare il porto industriale di Marghera mentre fumo una sigaretta.
J: Portare i bambini a scuola e lavorare è la mia routine.

Wunderkammern Joys
Joys, work in progress_pic by Alberto Blasetti

L’arte può essere considerata lo strumento contro la routine per eccellenza. Per l’artista le abitudini possono essere considerate un fatto positivo o negativo?

P: Sicuramente è un discorso molto personale. Nel mio caso le abitudini mi aiutano a mantenere un equilibrio nel lavoro, al contempo devo essere necessariamente molto flessibile, quindi tutti gli equilibri sono momentanei. L’approccio generale verso il mio lavoro però rimane immutato. Si tratta di un’abitudine che ha subìto varie modifiche ed evoluzioni ma che segue una linea coerente, una serie di pratiche ripetute e consolidate che lo rendono riconoscibile e fedele.
J: Le buone abitudini ti fanno stare bene anche se sono ripetitive ed automatiche, ed è quello che fa l’arte. Alcune delle nostre peggiori abitudini sono quelle buone in realtà! Nel mio caso ad esempio dipingere treni…

La soluzione alla routine si fa arte. In che modo?

P: Le pratiche per uscirne sono diventate anch’esse routine: gesti quotidiani di espressione ed evasione. La ripetizione di questi gesti creativi ha dato vita ad un’estetica coerente e uniforme e da qui è iniziata la ricerca artistica personale. Il gesto espressivo è rimasto conforme, ma i luoghi e modi secondo cui eseguirlo sono in continua evoluzione.
J: Fare arte rientra tra le buone abitudini. L’arte è sempre diversa, permette di staccare dalla routine. C’è un’evoluzione nel processo artistico che continua sempre, i lavori realizzati due mesi fa sono differenti da quelli attuali.

Wuderkammern Peeta
Peeta Pla, 30x30cm, oil on wood, 2017

Qual è la vostra formazione? Cosa vi ha avvicinati al mondo della street art?

P: La mia formazione inizia con i graffiti, disegnavo per strada ancora prima di formarmi come artista. Non mi sono avvicinato al mondo della street art, semplicemente ci ho sempre vissuto fino a che è diventato qualcosa che si è spostato su di un altro piano. Le mie scelte di studio sono sempre state subordinate alla mia esigenza primaria: migliorare la qualità dei miei pezzi. Ho studiato scultura all’istituto d’arte e poi design industriale all’università. Tutto questo mi ha formato soprattutto nella comprensione e nello studio dei volumi (il binomio scultura – pittura resta fondamentale all’interno della mia ricerca e della mia produzione), delle tecniche e dei materiali.
J: Sono un perito elettrotecnico. Una parte delle conoscenze tecniche che ho appreso le ho poi utilizzate per la mia arte. Ammetto che le materie tecniche a scuola non erano il mio forte! Mi sono avvicinato ai graffiti in maniera del tutto naturale, semplicemente per scrivere il mio nome, per lasciare un segno. Era un divertimento e poi naturalmente nel tempo si è evoluto, ho cominciato a sviluppare il mio lavoro e a diversificarlo.

wunderkammern Peta
Peeta, Lido, Venice, 2012

Avete due forme espressive differenti. Joys esprime le sue forme attraverso un impatto più architettonico mentre in Peeta predomina il carattere di fluidità. Che cosa vi accomuna nella ricerca?

P: Entrambi basiamo la nostra ricerca sullo studio della tridimensionalità, la creazione di volumi, l’uso del chiaro-scuro al fine di creare giochi di incastro e compenetrazione tra le forme. C’è poi da dire che, in realtà, anche la mia ricerca è architettonica, si rifà semplicemente ad un immaginario estetico differente, eventualmente più fluido, come ad esempio quello dell’architetto Zaha Hadid. Per assurdo, i miei volumi sono molto più realistici e “realizzabili”. Quelli di Joys invece, sono più facili da individuare e razionalizzare all’interno dell’opera e sono spesso astratti ed irrealizzabili alla realtà.
J: Sicuramente la ricerca della personalizzazione della propria cifra stilistica. Questo significa che se isoli un singolo pezzo di un’opera, l’artista è subito riconoscibile. Questo avviene sia nei miei lavori che in quelli di Peeta. Entrambi poi siamo partiti dallo studio delle lettere sviluppandole in senso tridimensionale, io più in senso architettonico e grafico lui più quasi foto-realistico.

GLI ARTISTI

Joys (Padova, 1974) ha cominciato la sua carriera come writer negli anni ‘90, incentrando la sua ricerca sul lettering. Nel tempo le lettere hanno subito una rielaborazione che le ha trasformate in vere e proprie strutture visive, con una coerenza quasi architettonica. Gli incastri geometrici delle linee insieme alle decise ma armoniose variazioni cromatiche conferiscono un effetto di profondità alle opere di Joys. Il risultato è una composizione astratta che coinvolge l’osservatore e che genera multiple percezioni. L’artista ha partecipato al progetto La Tour 13 a Parigi (2013) e a mostre in importanti istituzioni quali La Triennale di Milano (2010), il PAC Padiglione Arte Contemporanea di Milano (2007) e la Fondazione Bevilacqua La Masa di Venezia (2007).

Peeta (1980) vive e lavora a Venezia. Con una formazione in scultura e design industriale, l’artista ha elaborato una pittura tridimensionale nella quale il lettering acquista volume. La contrapposizione ritmata di curve morbide e tratti appuntiti risulta in una figurazione astratta estremamente dinamica e fluida, riflesso della personalità e delle sensazioni dell’artista. Per Peeta la pittura e la scultura sono dipendenti, perché entrambe contribuiscono in maniera complementare alla ricerca sulle forme, i colori e la luce. L’artista ha partecipato a mostre, fiere e festival in tutto il mondo; il suo lavoro è stato esposto nel 2015 al Palazzo Ducale di Genova e nel 2013 Peeta ha realizzato una performance al B2B TO BIENNALE, evento collaterale alla 55esima Biennale d’Arte di Venezia.

Informazioni utili

Joys e Peeta
My good old habits
vernissage mercoledì 10 maggio, 18.30 – 21.30
date 10 maggio – 10 giugno 2017

WUNDERKAMMERN
Via Ausonio 1A, Milano (M2 e Autobus 94 fermata Sant’Ambrogio)
www.wunderkammern.net

ingresso libero
orari di apertura: dal martedì al sabato dalle 11 alle 19

 

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