Una mostra incentrata sui cicli più significativi del pittore elvetico, attraverso 60 opere, che raccontano il percorso dell’artista. A cura di Cristina Quadrio Curzio e Leo Guerra. Galleria Credito Valtellinese, fino al 15 settembre 2017.
Sondrio. La montagna è terra aspra e generosa insieme, gravida di silenzi, di odori, di colori, di fatiche; una terra da scoprire con abnegazione e rispetto, dove la grandezza della natura è il termine di paragone per la piccolezza dell’essere umano. Una piccolezza che trova però una sua spiegazione e persino una sua intima grandezza, se solo si ha l’umiltà di porsi in ascolto e in contemplazione di questi paesaggi di mole geologica. È l’approccio che Bruno Ritter (Schaffhausen, 1951) sceglie nei delicati inchiostri di china del ciclo Rocce sagge (2016) che rievocano l’antica pittura cinese, con il suo culto del paesaggio isolato quale elemento fondamentale per la meditazione. I sentieri di montagna sono metaforiche strade verso la saggezza, esercizi di fatica e di pazienza che temprano per affrontare il quotidiano. Accanto alla ricerca filosofica, Ritter ne compie una di carattere estetico, dove la montagna si staglia avvolta da cieli nebbiosi e sottilmente inquietanti. La medesima inquietudine che avvolge i paesaggi, declinati in colori generalmente caldi, eppure caratterizzati da una solennità prospettica e strutturale che se da un lato ricordano Cézanne, dall’altro opprimono con la tensione latente ispirata a James Ensor.
Ritter è artista straordinariamente moderno pur nell’utilizzo di tecniche e stili ormai storicizzati, dall’acquerello, al guazzo, alla pittura a olio di stile espressionista. Il costante riferimento a Edvard Munch, pone la pittura di Ritter su una china filosofica che ha le sua radici in Søren Aabye Kierkegaard e si spinge fino a Jean-Paul Sartre. Le serie I rematori (2014) e La lotta (2016) sono riconducibili, per tecnica pittorica e intensità, al Ciclo degli Eroi di Georg Baselitz; anche Ritter esprime un’umanità che sta combattendo, non con le armi ma con la forza della dignità, con la convinzione di assolvere un compito necessario, pur con le sue incertezze e fragilità. Nei Rematori, la ricerca di Ritter è di stampo etico, dove, per dirla con Kierkegaard, i doveri e gli incarichi sociali diventano il fulcro della quotidianità. Ma il peso del ruolo sociale, avvertito come un giogo, può inclinare l’individuo al male e al peccato. Se il filosofo danese trova risposta nella religione, la pittura di Ritter trova, nella serie La lotta, implicazioni più dolorose.
Riecheggiando Sartre, l’artista elvetico dà forma al dibattersi di una coscienza infelice, obbligata a trovare un senso, una giustificazione all’agire quotidiano. Anziché la normale tela di cotone, Ritter utilizza la iuta, una stoffa ben più grezza e materica, in armonia con la forza espressiva delle sue pitture, viscerali, spesso dolorose, che esprimono una lotta interiore degna degli eroi di Vittorio Alfieri, furiosi e romantici per temperamento, come il loro creatore. A quest’impeto, Ritter aggiunge quella stoica rassegnazione tipica dei popoli di montagna, a loro modo eroici nella strenua lotta contro le avversità della natura.
A guardarli mentre si dibattono e si torcono, tornano alla mente i versi della Ginestra di Giacomo Leopardi, “Nobil natura è quella // che a sollevar s’ardisce // gli occhi mortali incontra // al comun fato”. L’uomo di Ritter ha la forza di sollevare lo sguardo e proseguire il cammino, anche in mezzo al vasto mare che, parafrasando l’Alighieri, su di lui non sarà richiuso. Anche se la violenza è talvolta il fio da pagare. Ma sembra essere una violenza catartica, di stampo fieramente nietzschiano. È da qui che passa la rinascita, e il Superuomo è in fondo colui che alle angosce di Sartre non arriva, perché irrobustito dalla propria coscienza che ha superato anche Dio.
Su un piano più sereno, gli Interni di Ritter – strettamente autobiografici -, esplorano il mondo dell’atelier, ne trasmettono gli odori, il sottile strato di polvere, quell’allegro “disordine” che costituisce la vitalità di un ambiente dove sensazioni e intuizioni prendono vita figurativa. Nella loro atmosfera, sono apparentabili agli studi degli umanisti di antica memoria.
Infine, il titolo della mostra: Dietro le mura. Un possibile richiamo a quella “muraglia che ha in cima cozzi aguzzi di bottiglia”, eternata da Eugenio Montale. Attraverso le sue tele, Ritter indaga l’asprezza dell’esistenza, un’asprezza però necessaria all’uomo per conoscersi e comprendersi.
Tutte le informazioni: http://www.brunoritter.ch/ausstellungen/2017-gruppo-credito-valtellinese-sondrio-italia/