Okja, un maiale straordinario per una favola eco-friendly targata Netflix.
Okja è un maiale straordinario. Grande come un elefante di medie dimensioni, con un muso e un’attitudine più canina rispetto a quella di un solito maiale. Okjia è bavosa e talvolta flatulente, ma soprattutto fedele, gentile e coraggiosa. Okja ha un legame speciale con la sua padroncina di nome Mija (Ahn Seo-hyun).
I due sono cresciuti insieme in una fattoria sul cocuzzolo di una montagna coreana, che appartiene al nonno di Mija, compagni inseparabili come nella classica tradizione letteraria e cinematografica orientale. Un’atmosfera e una coppia, anzi un trio, che ricorda fin da subito lo studio Ghibli e le sue romantiche avventure.
Il legame tra Okja e l’orfanella Mija è il risultato di un contratto che nessuno di loro ha mai letto o firmato. Il maiale speciale, creato in laboratorio, è infatti proprietà fisica e intellettuale di una multinazionale, e in quanto tale non è destinato alla macellazione, ma anche allo sfruttamento commerciale e pubblicitario. Mija è destinata, come da tradizione, a perdere il suo speciale compagna?
Lei e il nonno infatti fanno parte di un concorso – partito dieci anni prima – che ha visto l’affidamento di questi super maiali geneticamente modificati ad “agricoltori tradizionali” scelti in tutte le parti del mondo. Gli agricoltori e i loro maiali speciali sono diventati così i protagonisti di una lunga operazione di marketing e comunicazione che culminerà con l’assegnazione di un premio per miglior super maiale e con una parata per la città di New York.È chiaro a tutti, fin da subito, che si tratta di una corporation senza scrupoli, che tenta di vestire la sua anima nera con abiti eco-friendly, nel segno del marketing, dei social e della società dell’immagine.
Alla guida della multinazionale, simbolo di un cieco capitalismo, c’è Lucy Mirando (Tilda Swinton), succeduta alla sorella gemella, che guida la sua società con il sorriso argentato ed un solo obiettivo: nascondere sotto false apparenze una macellazione di massa di super maiali geneticamente modificati.
L’Okja di Bong Joon-Ho si mostra come un mix tra una favola animalista e una fantasia spielberghiana.
Si parla di capitalismo sfruttatore, di animalisti che come caricature di sé stessi chiedono scusa ad ogni capello spezzato, si affronta il tema della dittatura del profitto che arriva a giustificare e pianificare l’inganno nei confronti del pubblico e della menzogna che rimane come concetto centrale di tutto il film. Ma il racconto è reso in una chiave fortemente pop ed ironica, forse anche per il mezzo scelto: Netflix, la piattaforma di streaming on demand più famosa al mondo.
Di Bong, lo scrittore-regista sudcoreano dietro The Host, Memories Of Murder e Snowpiercer, si riconosce certamente il notevole talento a volte anche solo dalla composizione di un’inquadratura, dal dettaglio di un movimento o di un personaggio.L’interpretazione dei personaggi e’ magistrale, da Tilda Switon che interpreta il cattivo di una favola moderna a Jake Gyllenhaal che interpreta il ruolo di un veterinario e personaggio televisivo Steve Irwin, dichiaratamente fastidioso e sopra alle righe, fino a Paul Dano, leader di un gruppo di ruggenti attivisti dell’Animal Liberation Front che fatica a rimanere fedele al proprio voto alla non-violenza.
Ma il vero protagonista del film è lui: il personaggio di Okja, renderizzato con effetti speciali concreti, assomiglia ad un animale da diverse tonnellate che occupa lo stesso spazio fisico degli altri attori in carne ed ossa. Possiamo ammirarla mentre si tuffa nell’acqua e genera un’enorme quantità di schizzi, per poi vederla sgusciare all’interno dei sotterranei di un complesso residenziale di Seoul.
Vero che il protagonista è il maiale flatulente, ma forse è un peccato che la carrellata di personaggi – condita anche da notevoli e studiatissimi personaggi secondari (come il re del pollo Giancarlo Esposito) – non venga approfondita.
Anche la figura della ragazzina testarda e coraggiosa, che attraversa il mondo e scavalca i più grandi ostacoli per salvare la sua enorme metà, viene abbozzata senza entrare troppo in profondità come se fosse, insieme alla bestiolina e tutti gli altri, un mero strumento senza vita per sferrare un colpo al fianco del capitalismo e di qualsiasi sua derivazione.
È comunque in un certo senso ironico che questo film così critico nei confronti del mondo delle multinazionali e del capitalismo arrivi proprio da Netflix e in questo trovi il suo più grande limite e nello stesso la sua più grande apertura.Netflix sta crescendo vertiginosamente e sta diventando uno dei protagonisti più importanti di tutto il mondo dell’intrattenimento producendo contenuti che ne ricalchino i valori e lo spirito originario della piattaforma. Come in una catena di montaggio: ogni pezzo si incastra perfettamente, ogni dettaglio è curato perché si possa metter sul mercato, un prodotto estremamente brillante e eye-catching.
C’è chi dice, Tilda Swinton compresa, che Netflix si stia dimostrando uno studio con una prospettiva cinematografica vera e una grande attenzione ai registi e alle loro ambizioni (il film non a caso è stato presentato a Cannes), ma non si starà andando verso lungometraggi che paiono piuttosto come lunghe puntate di una serie tv? Questo è il pericolo.