«Ho passato tutta la vita a correre, a correre, a correre dietro a qualcosa che non ho mai saputo che cosa fosse, come fosse, dove fosse. Potevo correre, potevo stare fermo tanto sarebbe stato lo stesso, come diceva il pestapietre viennese Thomas Bernhard, “tutto sarebbe stato lo stesso”. E non ho neanche mai capito perché ho scelto di correre. Anche quando ero piccolo continuavo a correre. Correvo senza sapere verso che cosa correvo».
Ettore Sottsass diceva così, perché era il suo pensiero che correva. Noi, in questi giorni immobili di ferragosto, possiamo fermarci a leggerlo per correre dietro ai suoi pensieri. Due libri sotto l’ombrellone, due consigli buttati lì. Uno, questo di Sottsass, «Scritto di notte», Adelphi, è quasi un testamento, una autobiografia pensata come un lascito dentro a una scatola ottica dove si avvolge la sua vita. L’altro, invece, è una vera e propria biografia, quella di Bernard Berenson, lo storico d’arte divenuto un’autorità incontrastata nelle attribuzione delle opere, soprattutto del Rinascimento, tracciata da Rachel Cohen, «Bernard Berenson da Boston a Firenze», Adelphi. In comune, questi due libri hanno il senso del viaggio dentro alla vita, attraverso l’arte e il pensiero.
Il libro di Sottsass in fondo finisce per addentrarsi in quella ambiguità che ha caratterizzato così fortemente tutto il suo lavoro, fra architettura, arte, design, artigianato, fotografia e scrittura, molteplici strade, spesse volte interrotte e altrettante volte intrecciate, all’interno di un mondo dal quale dovremmo invano cercare di imparare qualcosa. Ma fra il fascismo e la seconda guerra mondiale, raccontata con occhio spaventato e ironico, metà orrenda e metà farsesca, lungo la sua infanzia e la sua giovinezza, tutti i suoi talenti e le sue diverse vie per affermarsi restano sullo sfondo per emergere a tratti sotto il segno della casualità, come quella volta che arriva con un giorno di ritardo alla chiamata militare perché deve inaugurare una sua mostra di disegni a Torino, e lo informano che il battaglione è già partito per la Russia. Lo salva la fortuna. Ma questo è un libro sul destino e sugli individui. Non ci sono masse, ma persone. Perchè questa alla fine è stata la sua vita, quella di un artista dai molteplici interessi, che ha contaminato la sua formazione accademica di architetto con esperienze dirette nel campo delle arti visive stringendo amicizie decisive per il suo lavoro.
Sottsass è molto diverso da Berenson. Lui è figlio d’arte, innanzitutto, e non ha vergogna della sua infanzia. Bernard Berenson, invece, ha fatto di tutto per nascondere le sue umili origini, nato Bernard Valvrojenski, di religione ebraica. La sua principale volontà, sin dai primi anni, era quella di non languire nella frustrazione del padre che pur nelle velleità intellettuali era finito venditore di pentole porta a porta. Era molto determinato a cambiare la sua vita: voleva passarla ad osservare l’arte, arricchendosi in questa maniera. Ci riuscì perfettamente, sommando ai soldi il piacere delle compagnie femminili. Aveva iniziato a lavorare facendo concorrenza alle guide ufficiali nei musei e in breve tempo riuscì a diventare un punto di riferimento irrinunciabile nell’attribuzione delle opere, proprio in un tempo in cui il mondo dell’arte cominciava ad attrarre i collezionisti americani. Visitò tutta l’Europa, divenendo un leader nel mercato artistico e collezionando biografie (almeno sei) per la sua vita abbastanza avventurosa e il suo carattere particolare. Di natura infedele nelle traversie dell’amore, lo era anche nel credo religioso, al punto che si vergognava di essere ebreo. Tra un amore e l’altro, ha terminato la sua vita dopo i novant’anni in una splendida villa immersa nella struggente bellezza dei colli fiorentini. Ha avuto ciò che voleva, e Rachel Cohen ce lo descrive in maniera irresistibile, con un ritratto arguto, molto attento ai dettagli. E’ morto attorniato dalle donne, le sue due sorelle e la sua ultima, fedele compagna, Nicky Mariano.