BoJack Horseman è una serie televisiva animata creata da Raphael Bob-Waksberg per Netflix e dal 2015 è sulla cresta dell’onda e sui feed di tutti i nostri Social Network.
BoJack Horseman, metà uomo e metà cavallo, è la star decaduta di una sit-com anni ’90. Oggi ha 50 anni, vive nella sua gabbia d’orata in una Hollywood parte di un universo in cui umani e animali antropomorfi vivono fianco a fianco.
>> Bojack è il “classico”anti-eroe in piena crisi di mezza età, depresso e alla disperata ricerca di quella fama e di quella gloria che seppur poco gratificante era capace di dargli la parvenza del tutto anche di fronte al nulla.
La quarta stagione di BoJack Horseman è un percorso di umanizzazione, è una stagione da molti accusata di aver messo in disparte, fin dall’inizio, il suo protagonista. Già dal trailer non c’era traccia del cavallo antropomorfo.
Se facciamo un passo indietro la terza stagione si concludeva con BoJack che, osservando una mandria di cavalli liberi, si preparava alla fuga. E nei primi episodi ancora non è tornato. Infatti la quarta stagione apre con una dichiarazione tra le righe: BoJack non è tornato, tocca concentrarsi su altro.
E quindi, ecco che il cono di luce si accende sulle vite dei personaggi secondari, quelli che ti strappano un sorriso sì, ma poi alla fine delle loro vite poco ti importa: Mr. Peanut Butter, Princess Carolyn, Diane e, ovviamente, Todd. La gag di Mr. Peanut Butter in corsa per la presidenza è buona, ma sarebbe stato meglio limitarla a un paio di episodi come decadente metafora della politica di oggi.
Dunque, Mr Peanut Butter regge poco, manca di lui la parte più divertente: quell’essere uomo e cane allo stesso tempo, ma soprattuto cane. Manca il Mr. Peanut Butter che rincorre il postino abbaiando, manca il brutale istinto animalesco che, calato nel mondo umano, diventa squisitamente paradossale. Todd, se la cava come protagonista assoluto? No, neanche lui dà il suo meglio, è fiacco.
Interessante il tema asessualità ma in fondo sembra buttato lì, abbozzato.
E poi, all’appello mancano le donne: Diane e Princess Carolyn. Sono loro a tirare avanti la baracca fino al ritorno del nostro antieroe? Forse sì, ma non basta.
Princess Carlolyn è una donna in carriera, in un’eterna lotta per emancipazione femminile, che non si permettere nemmeno un attimo di felicità. Diane, in questa stagione pur lasciata un po’ in disparte, ci accompagna invece verso considerazioni sull’amore da amaro in bocca. Una volta “snocciolato” il mondo al di fuori di BoJack e una volta resisi conto che in fondo di loro ci importa fino ad un certo punto, ecco finalmente il grande ritorno del protagonista, e con lui un nuovo carrozzone di patologie.
Quindi, alla depressione si affiancano la demenza senile, i traumi inter-generazionali e le ossessioni genealogiche. Ed è da questo momento in poi che si lascia agguantare, ci si abbandona nuovamente ad un percorso di catarsi ed introspezione. Ci si immedesima ancora una volta in quel vecchio cavallo ubriaco: ci si sente stanchi, atterriti e senza punti di riferimento.
>> Il tempo è il grande protagonista di questa seconda parte, scandito dal senso di colpa che passa come una staffetta da una generazione all’altra. Rompere questa catena d’odio sembra del tutto impossibile, cancellare il passato? Non può esser preso neanche in considerazione. Bisogna solo imparare a conviverci.
E quindi, anche se gli elementi sono sempre gli stessi, la dose di disperazione e nichilismo in fondo risultano minori, contagiati da una strana e lontana speranza. Una speranza, che ha azzittito quella vocina nella testa che ti allontana dal mondo e che si nutre invece del rapporto e della stima degli altri. Sembrerebbe quindi che in questa quarta stagione il contatto più diretto con le patologie mentali in qualche modo non faccia altro che umanizzare i personaggi antropomorfi di cui la serie si compone, rendendoli in qualche modo più umani degli stessi esseri umani.
>> Se prima quei personaggi fortemente animaleschi impugnavano la bandiera del surrealismo e ci facevano ridere, oggi – resi più umani – tra un effetto comico e l’altro ci danno grossi schiaffi in faccia.
Mi aspetto dunque che nella quinta stagione questa umanizzazione raggiunga il suo apice e quindi forse ci distrugga per sempre…