Milano. In mostra fino al 24 novembre presso la Galleria Federico Rui c’è la personale dell’artista Luca Conca.
Abbiamo voluto fare qualche domanda a questo artista, che ci lascia sempre a bocca aperta e con un profondo senso di benessere e serenità ogni volta che lo incontriamo…di persona o attraverso i suoi lavori.
1) Ci racconti chi è Luca Conca?
Sono nato nel 1974, ho frequentato prima il Liceo Artistico e poi l’Accademia di Brera a Milano e fino a 18-19 anni mai avrei pensato di fare il pittore.
La mia grande passione erano i fumetti e l’illustrazione. Disegnavo ore e ore tutti i giorni e il disegno puro e l’invenzione pensavo fossero i miei soli obbiettivi.
Poi nell’ultimo anno di Accademia ho iniziato a dipingere, partendo dall’osservazione del vero e della natura, prima ritratti e poi paesaggi e ho provato una sorta di innamoramento.
Da quel momento ho praticamente solo dipinto, convogliando e riversando tutto ciò che avevo imparato del disegno e della disciplina nella pittura.
2) Parliamo subito della tua ultima mostra, inaugurata lo scorso 26 ottobre presso la Galleria di Federico Rui: Come è nato questo progetto?
Il progetto della mostra da Federico Rui Arte Contemporanea nasce soprattutto dall’occasione di presentare il volume monografico LUCA CONCA OPERE 2000-2016.
Parlando con Federico abbiamo pensato di allestire una piccola mostra “riepilogativa” più che antologica; pochi quadri che dessero un’idea del mio percorso da quando ho iniziato fino ad oggi, brevi lampi di luce sul mio lavoro di pittore.
Alcuni piccoli dipinti sono recenti, hanno come soggetto la natura e rappresentano un’ideale chiusura del cerchio, pensando al volume monografico e ai miei inizi da pittore, proprio perché nei miei primissimi quadri i soggetti erano piccoli scorci e brani di natura.
Nel percorso che allora facevo da casa allo studio passavo davanti a campi, orti, intrighi d’erba lungo i viottoli e pensavo che quelli fossero i migliori soggetti per i miei primi esercizi, per il mio primo confronto con la grande pittura naturale di paesaggio.
3) Il tuo lavoro non si rivolge solo alla pittura in senso stretto ma anche all’illustrazione. Vuoi presentarci anche questo tuo mondo che forse non tutti conoscono?
Come dicevo ho abbandonato il fumetto e l’illustrazione a 19 anni, però ho continuato a frequentare uno dei miei amici più cari Christian G. Marra, conosciuto in Accademia, che invece ha sempre disegnato e ha fondato una piccola etichetta indipendente, la Passenger Press, che in dieci anni si è ritagliata uno spazio di tutto rispetto nel panorama del fumetto italiano contemporaneo.
Chiacchierando con lui in questi ultimi anni mi è tornata la voglia di disegnare, di raccontare una storia attraverso il linguaggio fumettistico ma con un approccio e una resa grafica molto diversa da quella della mia adolescenza. Ho scelto un taglio più cinematografico che fumettistico, o meglio, ho voluto riferirmi a quegli autori che hanno una sceneggiatura più vicina a quella cinematografica, con montaggi alternati, flashback e salti temporali, semplificando la gabbia della tavola e arrivando a sole 3/4 vignette per pagina, togliendo anche le voci onomatopeiche e quasi del tutto il testo. Alla fine ho scelto il linguaggio del fumetto senza utilizzarne la sintassi.
Cercavo uno stile diverso dal solito, realistico, quasi fotografico (per aumentare il più possibile l’immedesimazione) ma anche pittorico. Pur pensando al bianco e nero non volevo uno stile troppo grafico, con neri e bianchi netti e puliti, ma un segno sporco e cattivo, con neri mai pieni e quindi misteriosi, come se dentro si muovesse sempre qualcosa. Eliminando i contorni netti e il ripasso preciso, che fissa e congela le scene, ho cercato un segno ossessivo, che sembra non definirsi mai ma avvicinarsi solo alle cose.
4) Guardandoti intorno che cosa vedi nella società artistica odierna?
Non sono così critico e intransigente con la deriva ormai soprattutto economica che ha preso l’arte contemporanea… Molti artisti oggi somigliano più ad aziende quotate in borsa e i loro dipinti a delle azioni ma questo è solo un aspetto del mercato.
Non esiste solo questo: se da una parte pochi e sempre i soliti grandi collezionisti internazionali si scambiano tra loro artisti come potrebbero fare i brokers di Wall Street, dall’altra curatori e galleristi continuano a cercare artisti di qualità il cui lavoro rappresenti un interessante ragionamento sul fare Arte oggi. È più difficile emergere per chi non è per niente dentro certi circuiti, questo è vero, ma ripeto, il cerchio più stretto dell’Arte contemporanea di questi ultimi vent’anni ha pochissimo a che fare con l’Arte.
È un altro campionato.
Va poi detto che ancora oggi gli artisti più importanti, premiati e costosi sono pittori puri, quindi per la Pittura, per i grandi generi della Pittura, l’attenzione e le occasioni sono tante.
5) Se dovessi scegliere di entrare nello studio di qualcuno che ormai non c’è più con cui conversare per un paio d’ore…in quale studio d’artista entreresti?
Sceglierei lo studio di John Singer Sargent, un pittore inglese della fine dell’Ottocento che ha rappresentato e rappresenta per me il senso ultimo del fare pittura: semplicità, grande rispetto per la verità, osservazione del reale e puro piacere di dipingere.