Remains of what has not been said: per la prima volta in Italia il lavoro di Fatma Bucak (Iskenderun, 1984). 84 fotografie che trattano temi come l’oppressione, la censura, il lutto per la scomparsa e la violenza politica. La Fondazione Sardi ha messo in mostra il progetto fotografico dell’artista turca durante la settimana dell’Art Week sabauda (31/10/2017-10/11/2017). Un importante progetto per una realtà (quella della Fondazione Sardi) di grande valore. Abbiamo intervistato l’artista.
Qual è stato il suo primo approccio all’arte?
Il mio approccio all’arte nasce dalla volontà di ricercare uno spazio democratico; uno spazio senza confini, e senza i limiti di pensiero, uno spazio dove fosse possibile pensare, riflettere e poter condividere certe sensibilità e urgenze; dove sia possibile riscrivere queste urgenze.
La serie di fotografie che compongono Remains of what has not been said prendono avvio dal 7 febbraio, giorno delle uccisioni di Cizre. Che cosa ha provato in quel momento? Qual è stata la miccia che ha fatto scoppiare l’idea creativa che sta alla base di questo progetto?
Remains of whathasnotbeensaid è una testimonianza non solo dell’invisibile, della mancanza di informazione, della mancanza di parole, della violenza subita da tutti noi nel nostro quotidiano, ma è anche e soprattutto una testimonianza del consenso della nostra opinione.
E’ una riflessione sul come resistere alla mancanza di confronto, alla censura, alla difficoltà di comunicare in un’ambiente sempre più autocratico.
Questi fatti non appartengono solo a un Paese come la Turchia, perché censure analoghe accadono anche in Italia, in Francia, in America. Tutti noi ricorderemo sicuramente dei fatti “poco chiari” capitati nel nostro Paese di origine.
Quindi il mio progetto espositivo è una riflessione sull’informazione, e sul modo in cui queste vengono trattate.
E’ una riflessione sulla distorsione e sulla cancellazione della memoria, sulle storie occultate, trasformate, o peggio, mai dette.
Come qualsiasi persona sono rimasta profondamente scossa dalla tragedia di Cizre, indipendentemente dal fatto che sia successo nella mia terra.
Volevo quindi far nascere un discorso più ampioche si potesse allargare anche ad altri Paesi e ad altre culture.
Questo tuo progetto ha l’obbiettivo di mettere il visitatore davanti alla complessa situazione politica Turca. Pensi che lo scopo dell’arte sia quello di far aprire dei dibattiti sulla società in cui viviamo? Qual è per te lo scopo dell’arte?
Questo progetto mette il visitatore davanti al delicato rapporto tra mass media e il pubblico. Analizza come la nostra memoria e la storia contemporanea siano influenzate da un clima politico oscuro, ma allo stesso tempo vuole gettare visibilità sul grande problema della censura.
Il progetto non vuole quindi limitarsi a trattare i problemi della Turchia, ma vuole gettare le basi per un discorso più ampio e far riflettere su qualcosa in cui ci imbattiamo ogni giorno.
Qual è secondo te lo scopo dell’artista nel mondo contemporaneo?
A cosa serve l’arte è una domanda pragmatica che a volte la carica di responsabilità che non le spettano, peròl’arte è una necessità primaria specialmente in tempi di grande stravolgimento, con la crescita costante di infelicità, insoddisfazione e delusione.
L’artista esiste attraverso la sua creazione. Il significato della nostra azione è il nostro lavoro. Il potere dell’influenza dell’arte non è oggi negabile.
Non parlerei tuttavia di scopo perché in tale maniera caricherei l’arte di compiti risolutivi che non le spettano.L’arte e gli artisti hanno il compito di non chiudersi alle contingenze.
L’arte non ha l’obbligo di rispondere a grandi promesse o caricarsi di grandi cambiamenti, ha il dovere tuttavia di essere «presente», con gli occhi aperti.
L’artista può opporsi criticamente di fronte allo stato attuale delle cose, delle condizioni umane, può aprire nuove discussioni e può essere attivo nella società attraverso il proprio lavoro che deve essere tuttavia sostenuto da altri elementi per rafforzare il pensiero critico: ricerche, analisi, attività curatoriali.
Tutto ciò non è semplicemente uno scopo, è l’esistenza stessa dell’arte.Il mio “scopo” se così si può chiamare, è quello di continuare a “esserci”, attraverso il mio lavoro e continuare a muovere piccoli sassi.
La mostra si apre con il video “Scouring the press” in cui vengono lavate pagine di quotidiani turchi. Quale ruolo dovrebbe ricoprire la stampa odierna?
Scouring the press è una video performance dove due donne insieme a me lavano un copioso blocco di giornali sfregando le pagine l’una dopo l’altra davanti a tre catini di metallo che vengono riempiti dall’acqua sporca di questi lavaggi.
È un paesaggio sereno quello della performance diversamente dall’azione stessa. Un’azione di rimozione del testo e di immagine che richiama l’idea della censura come forma di regolazione ed esclusione.
Penso che lo scopo della stampa non sia mai cambiato in verità: la sua funzione principale resta quella di informarela popolazione. Naturalmente la tecnologia ha portato dei cambiamenti nel mondo dei media.
Sebbene quindi, ognuno di noi, si relazioni con la stampa per avere informazioni oggettive è ormai cosa risaputa che la maggior parte di essa è influenzata o in certi casi addirittura di proprietà di partiti politici.
Non dobbiamo stupirci quindi che questi vengano strumentalizzati e che non sempre riescano a mantenere il loro ruolo di “custodi della verità”.
Le piacerebbe portare questa mostra nel suo Paese?
È un desiderio sempre forte quello di portare i lavori nel proprio luogo di origine.
Quando ho lavorato al Cairo sulla paura derivante dal clima politico dell’Egitto si sono create riflessioni molto importanti su come diffondere il lavoro nella città. Non sempre purtroppo il clima politico è favorevole a diffondere lavori con temi “sensibili”.
Tutte le informazioni sull’artista:
http://albertopeola.com/it/artists/fatma-bucak
http://www.fondazionefotografia.org/artista/fatma-bucak/