Un tema per esperti convertitosi in un dibattito aperto. Un convegno per presentare l’ultima pubblicazione dell’avvocato Cino Benelli (“Beni culturali: la disciplina delle sponsorizzazioni”, Giuffré Editore, Milano, 18 €) si è trasformato in un incontro a trecentosessanta gradi sul tema caldissimo della valorizzazione del patrimonio culturale italiano.
A Firenze il 24 novembre scorso il parterre era di grande livello. Sul palco il professor Massimo Morisi, padrone di casa e docente di Scienze politiche all’Università degli Studi di Firenze ha presentato gli ospiti illustri: Francesco Cardarelli, professore associato di Istituzioni di Diritto Pubblico all’Università degli Studi di Roma “Foro Italico”, Roberto Cecchi, architetto e già Sottosegretario di Stato, Ministero dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo (nel governo Monti) e Paolo Carpentieri, Consigliere di Stato e Capo Ufficio Legislativo del Ministero dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo.
Il sottoscritto chiamato a moderare, attività che in teoria dovrebbe poco o nulla collimare con l’attitudine giornalistica alla vis polemica per stanare cifre, argomenti e opinioni atti a stimolare il dibattito. E infatti così è stato. Il pericolo di impaludarsi nella solita, arida, discussione tecnico-giuridica si è sciolto come neve al sole. Nonostante il lucido e sintetico approfondimento di Cino Benelli sulle questioni relative alle recenti norme promulgate inerenti la disciplina delle sponsorizzazioni, subito i temi sul tavolo si sono trasformati in una discussione su questo nostro strano Paese. Per molti versi ancora incapace di trarre profitto dalla valorizzazione di un patrimonio culturale, artistico e territoriale ineguagliabile al mondo.
Morisi, nella sua intelligente introduzione, ha immediatamente circoscritto il cuore del problema ossia il “rapporto tra tutela e valorizzazione dei beni culturali” proponendo una lettura in grado di concentrarsi sul tema del “patrimonio d’arte come capitale sociale” da connettere all’insieme delle “relazioni fiduciarie tra cittadini e Stato”. Il punto nevralgico consiste nel definire proprio un sistema di equilibrio all’interno di “queste relazione dialettiche”.
L’avvocato Benelli affronta subito il tema della sua ultima fatica, evidenziando come esista una sorta di “confusione tra istituti giuridici”, in particolare a suo dire sarebbe necessario definire meglio i confini e le differenze “tra mecenatismo e sponsorizzazioni”. Per quanto concerne le recenti normative Benelli sostiene che “sarebbe forse necessario per le cosiddette sponsorizzazioni forti prevedere delle linee giuridiche con un format di contratto”. In un certo senso, dunque, le semplificazioni attuate di recente prevedono un eccesso di “informalità” che potrebbero rivelarsi un pericolo nel non preservare bene l’interesse pubblico. Successivamente prende la parola l’architetto Cecchi, già Sottosegretario al Ministero dei Beni Culturali.
Cecchi è in qualche modo l’artefice della sponsorizzazione di Diego Della Valle nel progetto di restauro del Colosseo a Roma. Un rivoluzionario protocollo di sponsorizzazione e di partecipazione del privato negli interessi pubblici del patrimonio d’arte che ha sollevato mille polemiche e contrasti per la sua realizzazione. Cecchi entra subito nel cuore delle questioni. L’area del Colosseo è di circa 13.000 metri quadrati e l’intervento privato (25 milioni) ha inizialmente scatenato un putiferio di reciproche accuse. Con l’intervento del Codacons che aveva espresso dei dubbi “circa le modalità seguite dalla pubblica amministrazione per giungere all’accordo con Tod’s, poiché le condizioni apparirebbero sbilanciate in favore del gruppo di Diego Della Valle attraverso un ritorno pubblicitario enorme”.
Cecchi dice: “bene, se la raccolta di 25 milioni e un solo intervento creano tali problematiche, pensate che la sola area centrale di Roma consiste in 3 milioni di metri quadri e la sua conservazione necessita di una spesa di circa 6 milioni di euro”. Il vero problema dunque -secondo Cecchi- consiste nei fondi a disposizione e nelle ripartizioni degli stessi che attualmente prevedono tra lo 0,2 e lo 0,3 per cento dei soldi in capo al Ministero. Come è possibile conservare, restaurare e valorizzare il nostro patrimonio se lo Stato spende e spreca soldi ovunque anziché utilizzarli in un segmento che costituisce il vero petrolio del nostro Paese? Sul punto -con la scusa di moderare il dibattito e l’iniziale sincerità con cui annunciavo d’essere poco moderato- domando al pubblico e ai relatori “scusate ma fateci capire chi ci governa o ha governato in questi anni, voi o chi altro? Chi ha deciso o decide di ripartire i fondi e di intervenire o meno?”.
A questo punto la parola passa a Paolo Carpentieri. Un pezzo da novanta nei meccanismi legislativi italiani per il settore dei beni d’arte e del turismo. Carpentieri non le manda a dire e immediatamente raccoglie la palla delle polemiche innestate. “La semplificazione -afferma Carpentieri- è una questione complessa. Non è possibile affrontarla con discorsi da bar”. E rivolto al sottoscritto va diritto senza peli sulla lingua “nonostante i temi siano qui affrontati nel modo giusto e fuori dalle aride questioni dei cavilli giuridici io dico che bisogna uscire dai luoghi comuni”. Carpentieri sostiene che spesso chi redige le leggi e i regolamenti si trova tra due fuochi. Da una parte i politici che reclamano a gran voce il dovere di semplificare, dall’altra i giuristi che esigono un’articolazione dei testi capace di reggere le complessità dei nodi da risolvere. “Noi -dice- siamo in mezzo a questo guado”. “Meno male -aggiunge- che l’attuale ministro Dario Franceschini è competente, laureato in Giurisprudenza, grande ascoltatore e fine giurista. Ma il vero problema è che in questo Paese tutti litigano con tutti”.
E’ proprio così. Ha ragione Carpentieri. Un tempo eri guelfo o ghibellino. Oggi c’è la sinistra e la destra. Addirittura la destra della sinistra o la sinistra della destra. Tutti tirano la giacchetta dalla loro parte. Forse il vero problema dell’Italia non consiste nell’eccesso di burocrazia ma nell’eccesso di litigiosità e di protagonismo. Carpentieri sintetizza magistralmente affermando “La verità è che non siamo mai stati capaci sino ad ora (a parte casi rarissimi) di fare Team. Il Team Italia”. Un altro punto nevralgico, scoperto dal Consigliere di Stato, consiste nel “rapporto schizofrenico tra Stato e Regioni”. In alcuni casi le seconde vogliono e possono decidere tutto. In altri si astengono e reclamano per le troppe deleghe (e responsabilità) da parte della struttura centrale dello Stato. Com’è possibile che non si comprenda che tutti dobbiamo lavorare per il bene comune dell’Italia? Forse perché ciascuno continua solo a pensare che il proprio benessere prescinde da quello comune. Ma non è così. Infine il professor Cardarelli riporta la calma ritornando al tema iniziale del dibattito e chiarisce con un sottile ragionamento tecnico-giuridico che in alcuni casi “gli eccessi di semplificazione comportano una delega in bianco”.
Anche i rapporti con la legislazione europea sono un terreno fertile di problematiche inevase e di ulteriori complicanze. In molti casi dunque, a suo dire, “il legislatore è vacante”. Al termine del dibattito il professore Morisi, nel salutare e ringraziare il pubblico e tutti noi al tavolo dei relatori, auspica si possa creare un seminario su questi temi affiancato alla sua cattedra di Scienze politiche all’Università di Firenze. Per quanto mi riguarda posso dire di aver passato una buona mattinata, lucida e di analisi. Con una speranza mai sopita e che ora riaffiora nel mio animo. Quando riusciremo a creare nel nostro amato Paese una “nazionale dell’arte?”. In futuro l’Italia diverrà sempre più la nazione guida a livello mondiale nel campo dell’arte e della cultura. Se non ci sbrighiamo a fare squadra, per valorizzare i nostri beni artistici e il territorio che li custodisce, saremo giudicati dai nostri nipoti come degli egoisti prossimi all’analfabetismo.