Dal 22 gennaio il museo ospiterà anche la mostra “Scorribanda”, che celebrerà il sessantesimo anniversario de L’Attico
“Mi fa una certa impressione voltarmi indietro e vedere quant’acqua è scorsa sotto i ponti”. E di acqua – metaforica, qui la intendiamo come liquido vitale per la cultura e per l’arte – ne è scorsa davvero molta, nei circa 50 anni in cui Fabio Sargentini ha retto le sorti, come continua a fare tuttora, di una delle gallerie che hanno fatto la storia dell’arte italiana negli ultimi decenni, L’Attico di Roma. È lui stesso che con queste parole affida ad Artslife una notizia destinata a restare come centrale nella storiografia artistica degli ultimi decenni: “donerò l’archivio de L’Attico alla Galleria Nazionale d’Arte Moderna”. E lo fa in un contesto anomalo, e questo spiega anche carattere icastico delle informazioni che ci fornisce, e che noi riusciamo a riproporvi, certi di poter quanto prima fornirvi altri e più approfonditi dettagli. Già, perché questo veloce – ancorché ricco! – scambio di battute con il grande gallerista avviene nelle more di un progetto che troverete sulle nostre pagine nei giorni a seguire: ovvero una veloce e simpatica “inchiesta” nella quale abbiamo chiesto a diversi personaggi del sistema dell’arte italiana di dirci tre cose che faranno nell’appena nato anno 2018. E fra i primi interpellati l’ormai quasi ottantenne Sargentini – detto a suo merito – è stato il primo in assoluto a risponderci: con una cordialità e una serietà che non ci sorprendono, conoscendolo da tempo, e dalle quali le “nuove” generazioni avrebbero tutto da imparare. Questa dunque una delle sue risposte: ma perché la scelta della Galleria Nazionale (come ormai rinominata nella gestione Collu)? “Almeno so che affidando la mia storia alla Galleria Nazionale la posterità è assicurata!”. Ma c’è un altro legame con il museo di Viale delle Belle Arti: ovvero la mostra – dal titolo “Scorribanda”, anche questa è un’anteprima di Artslife – voluta dalla direttrice Cristiana Collu e curata dallo stesso Sargentini, che dal 22 gennaio nel Salone Centrale della GNAM celebrerà il sessantesimo anniversario de L’Attico. “Scorribanda? L’ho scelto perché racconta bene lo spirito d’avventura che mi ha sempre guidato nel condurre la galleria”.
60 anni dunque di storia della galleria: “Fu infatti nel 1957 che mio padre fondò la galleria L’Attico a Piazza di Spagna”, ricordava Sargentini in una recente intervista rilasciata al sottoscritto. “Mio padre era un collezionista di arte romana – Mafai, Guttuso – che ad un certo punto decide di diventare gallerista e mercante. E io, che avevo 18 anni, mi ero appena iscritto all’università, varco l’uscio assieme a lui”. Nel 1968 la separazione dal padre, e Fabio trasferisce L’Attico in un garage di via Beccaria, dove resteranno memorabili i progetti di Kounellis, fra cui quello con i dodici cavalli vivi: “quando mi emancipai da mio padre, scelsi di lavorare con Pascali e Kounellis, già proiettati su ciò che poi diventerà l’Arte Povera… […] Nella mostra Fuoco immagine acqua terra, del giugno 1967 all’Attico, Pascali e Kounellis posero per primi l’attenzione ai materiali. L’Arte Povera non è fatta di fascine, o di pagine di giornali, o di carbone: è fatta di materiali, di elementi primordiali, esplosivi. Poi, chi ha tirato fuori il termine Arte Povera è stato Celant: ha inventato lo slogan, che peraltro ha preso a prestito da Jerzy Grotowski”. Da quel momento parte la svolta, con altri grandi artisti come Pistoletto o Bignardi, con la danza sperimentale di Simone Forti, la musica elettronica, un luogo attivo di sperimentazioni inedite: “e poi c’è stato Gino De Dominicis, di cui organizzai all’Attico la prima mostra personale, a 23 anni”. Finito? No, perché i progetti per il 2018 che chiedevamo di anticipare – a proposito, venite a cercarli nei prossimi giorni su Artslife! – erano 3: ed il terzo annunciato da Sargentini ne svela la vena ironica, capace di entrare in grande sintonia con gli interlocutori. “Terza cosa: dovrò sistemare la mia schiena a pezzi. Mi dicono di operarmi ma io mi rifiuto. Mi dovrei far segare un osso della colonna vertebrale. Lo farò se non c’è via di scampo alla sedia a rotelle. Mi ha rovinato lo sport, anche agonistico, calcio, tennis, ping pong. Ma anche caricarmi generosamente sculture e quadri per sessant’anni!”.