La Key Gallery di Milano, dal 12 al 27 gennaio, presenta la mostra di Mao. Indagare la condizione dei clochard, i senza dimora che popolano le nostre città e lambiscono ogni giorno le nostre vite, è forse il punto di partenza della ricerca dell’artista, in sintonia con la sua visione della società e della naturale empatia che prova verso gli “ultimi”; ma il significato del suo lavoro travalica la mera rappresentazione di un umanità in cui l’esclusione sociale esplode sui volti, come se ogni giorno trascorso sulla strada incidesse indelebili e urlanti cicatrici.
Il valore, intrinseco e originale di queste opere, non è da ricercare nell’istintiva riflessione che inducono riguardo la condizione dei personaggi ritratti, quasi critica sociale – tra le tante- all’iniquità che pure abita questo nostro tempo; bensì un lavoro che vuole andare oltre ciò che i nostri occhi, disincantati dall’abitudine, scorgono ogni giorno. Ad una prima visione – nel loro insieme- i personaggi ritratti paiono gli interpreti di una rappresentazione di vinti, cantori di un coro dissonante e stonato, componenti inutili ed inutilizzati di un meccanismo in movimento e chiuso in sé.
Volti che portano inciso l’affanno della quotidianità e rughe come fratture, espressioni come movimenti tellurici, emozioni come fiumi carsici che esistono nel profondo e muovono in un dominio nascosto, in apparenza volti di naufraghi senza speranza di approdo. Ma è negli sguardi che l’artista riesce a cogliere il senso profondo di questa umanità marginalizzata, il vissuto che può apparire – ai più- come scoria e relitto di vite destrutturate. Mao ci restituisce, rielaborate dal medium artistico, sguardi di sognatori, di disperati, di poeti, di santi, a volte di rissosi, ma ognuno di questi (sguardi) origina un proprio senso di libertà, come se la strada , proscenio di questa dura commedia umana, avesse dato profondità e spessore ad un copione altrimenti già letto.
La strada rende liberi? Non c’è risposta univoca o consolatoria a questa domanda ma il lavoro dell’artista, insinuando in noi il seme del dubbio, può dirsi compiuto.