Il direttore del progetto MACRO Asilo anticipa i suoi programmi: taglio molto performativo, nessuna mostra, spazi aperti per progetti condivisi. E collezione permanente esposta come una quadreria
L’argomento ha tenuto banco a cavallo fra la fine del 2017 e l’inizio del 2018. Sulle novità in vista per il Museo MACRO di Roma ognuno ha detto la sua, complice anche una carenza di informazioni ufficiali e una conferenza di presentazione indetta quasi in segreto a pochi giorni da Natale. E nel mirino di molti osservatori è finito Giorgio de Finis, l’antropologo che ha ideato l’esperienza sempre romana del MAAM e ora incaricato di rilanciare il museo con il progetto MACRO Asilo. Finito nel mirino senza peraltro conoscere a fondo le sue idee, i suoi programmi: anche nell’ampia inchiesta con la quale Artslife ha interpellato una serie di critici, artisti, galleristi, collezionisti. Ora è il momento di conoscere i progetti dalla viva voce di chi il 1 ottobre ne avrà la responsabilità…
Mettiamo subito in chiaro: tu sarai il direttore del MACRO?
Io sarò il direttore artistico di MACRO Asilo, un progetto d’artista, sperimentale, unico progetto ospitato in futuro dal museo. Ma non avrò nessun direttore sopra di me, se è questo che mi stai chiedendo… Io non avrei mai accettato di fare il direttore di un museo, perché quello non è il mio mestiere: ho accolto l’invito di Luca Bergamo a trasformare il museo, ci tenevo che fosse “firmato” come museo mio, ma non sarò mai direttore se non del mio progetto. Che ha come oggetto proprio quello per cui sono stato chiamato: smontare e rimontare il museo. Io ho le chiavi, e fino a dicembre 2019 – ammesso che non ci siano proroghe – lo gestirò secondo queste premesse…
Non è stato ben chiarito quali saranno gli equilibri gestionali del MACRO. Quale sarà il rapporto con l’Azienda Palaexpo?
Palaexpo avrà un nuovo CDA, io formalmente sono a contratto con questa azienda, che gestisce tutto il Polo del Contemporaneo, di cui il MACRO è parte. Questo progetto risale a un anno fa: si chiama precisamente Polo del Contemporaneo e del Futuro, e vede insieme Palazzo delle Esposizioni, MACRO e i due padiglioni di Testaccio e della Pelanda, che ora sono stati scorporati dal MACRO e di cui io non mi occuperò. Cambieranno nome, avranno una diversa gestione e direzione artistica, e un’attività diversa da quella che ho messo sul tavolo io.
Alla conferenza stampa era presente anche Cristiana Collu, si accennava al coinvolgimento di Galleria nazionale e MAXXI, ma anche lì senza chiarezza…
Credo che i due musei siano stati invitati dall’amministrazione in quanto musei della città, immagino per dare il benvenuto a un nuovo progetto per “l’altro” museo di Roma. Con il MAXXI valuteremo via via se ci saranno possibilità di collaborazione; con Cristiana Collu io ho ottimi rapporti, e trovo molto interessante da un punto di vista culturale e politico la sua rivoluzione portata alla Galleria nazionale, ho scritto un saggio per il catalogo ufficiale della galleria che uscirà a breve. Condivido l’idea di un museo che dà allo spettatore il diritto di interpretare l’istituzione, l’idea di mischiare le carte e creare un rapporto più intrigante e meno scontato e organizzato “dall’alto”.
Entriamo nel vivo del tuo progetto: farai un nuovo MAAM al MACRO?
Tu mi fai questa domanda come provocazione, ma se qualcuno pensa questo è una sciocchezza. A me è stato chiesto questo: ma non nel senso di tradurre al MACRO l’esperienza del Museo dell’Altro e dell’Altrove di Metropoliz; altrimenti dovrei portare anche lì gli sfrattati, i 60 nuclei familiari che hanno bisogno di una casa, dipingere tutto con murales… La differenza è questa: al MAAM ho portato il museo nelle case, al MACRO porterò la casa nel museo. Sarà un luogo da abitare, un luogo pieno di vita, un museo leggero, multisensoriale, dove le opere si fanno invece che conservarle. Altra esperienza che intendo mutuare è il fatto che gli artisti possano collaborare fra loro: al di là di presentare se stessi, la propria singolarità, la propria visione del mondo, partecipino con una disposizione d’animo collaborativa. Uno spazio “non belligerante”, dove non vige il “mors tua vita mea”.
Tu da antropologo ti senti quindi più vicino alla figura dell’artista rispetto a quella del critico…
Io ho un percorso che può sembrare un po’ zigzagante, ma per me è abbastanza chiaro: nasco antropologo, con esperienze internazionali sul campo, dopo di che mi sono iniziato a occupare di grandi città, del nuovo habitat dell’homo sapiens, precisamente dal 23 maggio 2007, il giorno in cui il 50% + 1 della popolazione mondiale diventa abitante della città. In questo contesto ho iniziato a lavorare anche con gli artisti, da Stalker a Cesare Pietroiusti. Un po’ da studioso, poi con uno spirito sempre più soggettivo, con video, fotografie, diari di bordo, con narrazioni in prima persona. Piano piano ho iniziato a fare progetti che erano “dispositivi”: e il MAAM è un dispositivo a tutti gli effetti, con le sue regole del gioco, come super-oggetto – cioè come somma di tutti i tasselli realizzati – io l’ho iscritto al Premio Terna a mio nome, come assemblaggio a scala urbana. Faccio questo tipo di riflessioni: all’assessore Luca Bergamo sono piaciute, e lui mi ha offerto questa opportunità, che ho accolta alle mie condizioni, un progetto coraggioso da assumere come amministrazione…
Nel 2010 il MACRO nasceva con l’ambizione di competere con i maggiori spazi internazionali, con investimenti altissimi, con una grande archistar all’opera. Perché poi ha fallito questi obbiettivi?
Per ragioni molto banali, non addebitabili a direzioni buone o cattive. Ha fallito per ragioni di budget: se si vuole fare un museo internazionale, occorre stanziare gli investimenti che stanziano i musei internazionali. Purtroppo il MACRO è stato costretto a fare l’affittacamere delle gallerie d’arte. Serviva a Roma? Forse no, visto che si stava aprendo già il MAXXI. Lo vuoi fare lo stesso? Allora lo devi dotare di fondi per funzionare su quei livelli: ma i fondi non li ha questa giunta attuale, come non li avevano le giunte precedenti. E di conseguenza – come accade in quasi tutti i musei italiani – si ospitano mostre che arrivano già “chiavi in mano”. Allora io al museo subaffittato alle gallerie preferisco il mio progetto: mi è stata data questa opportunità, ma non mi pare che l’amministrazione avesse alternative da vagliare. Potevano offrirmi per questo progetto per esempio la Pelanda? E poi al MACRO cosa ci avrebbero fatto? Io poi un posto come la Pelanda non l’avrei accettato: politicamente a me interessa conquistare il salotto buono della città. A me politicamente, andare in un altro posto in periferia quando già ho il MAAM, non serve.
Una tua premessa che ha fatto molto discutere è quella di voler aprire gli spazi a tutti gli artisti…
Questa questione dell’”autocandidatura” è stata decisamente fraintesa: ogni artista compie il passo di autolegittimarsi nel momento che sceglie di proporsi come artista. Dopo un percorso prima solitario, arriva sempre un momento in cui deve confrontarsi con un gallerista, o con un critico. E dopo questi passi arriva – quando arriva – il riconoscimento del mondo dell’arte. La porta del MACRO sarà aperta a tutti gli artisti che fanno questo di mestiere: ma mi fanno sorridere quelli che pensano che chiunque venga, possa mettere il suo cavalletto lì e lavorare. Ci sarà un palinsesto molto rigoroso, dove ciascun artista sarà invitato a dare il proprio contributo. Gli artisti si confronteranno con me, mi diranno cosa vogliono fare, io dirò loro cosa voglio fare: non è una questione di selezioni, si tratta di capire se una cosa può funzionare o no, dal mio punto di vista, che lo dirigo.
I primi programmi per ottobre sono già tracciati?
Io il 1 ottobre farò una cosa molto performativa: chiederò agli artisti – soprattutto del territorio romano – di venire per 7 giorni e presentarsi al museo. Quelli che verranno saranno quelli con cui lavorerò: quindi la selezione la faranno loro stessi, scegliendo di presentarsi o meno. Ovviamente, questo sarà un momento performativo: in realtà io con gli artisti avrò già parlato nei mesi precedenti, di alcuni so già cosa faranno, per cui questi dal 2 ottobre saranno già operativi. Ci saranno diverse stanze dedicate, alcune più aperte a ospitare varie cose, alcune più strutturate. Ci sarà la stanza delle parole, in cui faremo questo gioco di ripensare il dizionario del contemporaneo: qualcuno proporrà una parola, ne diventerà il “curatore”, organizzerà vari incontri invitando studiosi ed esperti a declinare quella parola, riordinerà poi i materiali raccolti per la pubblicazione, e questi saranno stampati. Questo per 100, 200 parole. Significa che per tutto il giorno quella stanza sarà viva: dalle 10 alle 11 un incontro, dalle 11 alle 12 un altro incontro…
Come pensi di gestire la collezione permanente?
A me non è stato chiesto di arricchire la collezione permanente. Farò una quadreria con le opere presenti, pensata come una grande opera: su una parete della sala Enel, con tanti dipinti disposti un po’ sul modello settecentesco, per rendere fruibili molte opere che non sono mai uscite dai magazzini. Sarà un’installazione unica, un grande mosaico: con MACRO Asilo voglio trasmettere il messaggio che gli artisti, nella loro diversità, possono lavorare insieme. “Utilizzerò”, se mi si passa il termine con le virgolette, una parte della collezione permanente che in qualche modo sarà un’immagine visiva di quello che andremo a fare giorno per giorno per 15 mesi…