Paolo Consorti. Un nome per un biglietto d’ingresso nel territorio dell’arte del presente. Un artista che ha la grande capacità di scandagliare l’animo umano attraverso un viaggio nel profondo delle cose e ritorno. Pittore, artista della fotografia, autore di video, regista cinematografico, “Havana Kyrie” è il suo terzo film.
Il primo ciak, a gennaio 2018, nella città di Pesaro per proseguire a Cuba: l’incontro fra due culture e il linguaggio del cinema per raccontare una storia che si nutre di musica rossiniana e del ritmo della tradizione cubana.
“Chissà, forse lo stesso Gioacchino Rossini avrebbe potuto fondere il suo spirito musicale con i ritmi sudamericani”. L’idea è di raccontare una storia che si preannuncia carica di emozioni, quella di un direttore d’orchestra in declino che accetterà di dirigere un coro di bambini cubani solo per amore della musica e necessità economica.
Ed è allora che il percorso, la scelta, il riscatto di un uomo, interpretato da un impareggiabile Franco Nero, diviene mezzo salvifico che conduce alla rinascita. “La vita ci riserva sempre una seconda opportunità”. Questa la filosofia, il credo di un Paolo Consorti che da sempre ha utilizzato diverse formule espressive per raccontare di una umanità che lotta, si dibatte tra il bene e il male, ma non si dimostra vinta, mai. Così dagli inizi, dalla pratica pittorica a confronto con l’immagine al cinema di oggi. “Sono partito dalla pittura, ma ho sempre voluto sperimentare tecniche diverse. La foto è un elemento, come un colore per un pittore. Ciò che resta è il pensiero e la capacità di saperlo comunicare con quell’intuito che caratterizza l’arte come non ovvia”. Celebri le sue opere fotografiche con scene allestite come set di un cinema dove uomini e donne nudi, collocati in mondi sospesi, vagano come per allontanarsi dalla banalità del quotidiano.
E verranno le performances del ciclo “Rebellio Patroni”, il racconto delle imperfezioni, dei vizi umani dove c’è morale cristiana e insurrezione, questa volta con l’arma della ironia, e il coinvolgimento del pubblico quando, a Milano, la performance con Luca Mangoni che interpreta Sant’Ambrogio inaugura la personale di Palazzo Reale. E quando alla Biennale di Venezia i patroni d’Italia San Francesco e Santa Caterina, interpretati da Elio delle Storie Tese – una sorta di Alberto Sordi in Vacanze intelligenti – e Veronica Barelli, usciranno simbolicamente da un quadro per andare in mezzo alla folla distribuendo santini con la loro effigie e un pensiero come invito all’unione, ad allontanare la discordia.
Ancora tra realtà e finzione, ironia e denuncia, al Madre di Napoli a rivivere sarà la figura di San Gennaro con un Giobbe Covatta che raccoglie l’immondizia per strada, fino al miracolo del santo che tramuterà i rifiuti in sacchi d’oro. “Un modo di fare arte che può suggerire riflessioni importanti anche rispetto al quotidiano. Per questo l’arte deve incontrare la gente, altrimenti è come se un cantante cantasse per se stesso chiuso in una stanza”.
Oggi un nuovo film, e il pensiero che possa raggiungere un pubblico più vasto di quello dell’arte contemporanea, dopo “Il sole dei cattivi” interpretato da Nino Frassica, e “I figli di Maam” con Luca Lionello, lungometraggio che ha come filo conduttore il tema dell’arte nel contesto dell’ex fabbrica Fiorucci occupata da extracomunitari e senza tetto.
E c’è ponte ad unire l’espressione artistica di un Paolo Consorti di ieri con quello della regia cinematografica del presente: ogni linguaggio è, comunque, quello dell’arte, è il prodotto di una sensibilità che concretizza un pensiero. “Il cinema è una bellissima sfida ed è sempre arte, i miei linguaggi sono, sono stati, diversi nella forma, ma non nel contenuto. Non trovo grandi differenze a livello sostanziale, quanto a livello formale. Dal silenzio, dalla meditazione dello studio si passa al caos del set, qualcosa di più stressante e frenetico. Con questo film, che mi auguro possa laurearmi come regista, voglio raccontare il mio modo di essere, il mio sguardo sul mondo”.
Una storia di emozioni, un film sul miglioramento personale, una resurrezione interiore, il racconto di una partecipazione alla vita. E l’arte e la vita stanno insieme quando creare un’ opera significa esporre un mondo. Ma cos’è un mondo? Non un mero insieme di tutte le cose numerevoli e innumerevoli, per dirla con Heidegger, note ed ignote e neppure una rappresentazione aggiunta alle cose semplicemente presenti. Dove cadono le decisioni essenziali della nostra storia, da noi raccolte o lasciate perdere, disconosciute e nuovamente ricercate, lì si mondifica il mondo. Eccolo quel mondo, eccola l’arte come motore di tutte le cose, quella che affonda le radici in una terra fatta di cielo.
Nelle opere di ieri, in quelle di oggi l’espressione di un artista di talento che attraverso l’arte testimonia il senso dell’esistenza: un Hyrie Eleinson come invocazione, preghiera. Non ci resta che attendere.