Il Venezuela, se lo porta in saccoccia; la lectio impartitagli dal Maestro Niko Romito è salda in mente e rivive in gesti e piatti; ma è il talento, quel fresco talento dato un po’ dall’età, un po’ da quel carattere tra il timido e lo sbarazzino, che viene dal cuore, ad essere il vero protagonista in cucina. Così, se dobbiamo, disegniamo Gianni Dezio e la cucina che tutti, presto o tardi, dovrebbero provare al Tosto di Atri (Te).
Purtroppo (o per fortuna) isolato, lontano dalla città di Pescara e ancor di più da quella di Ancona, il Tosto è un angolo gourmet raccolto nel borghetto medievale del comune abruzzese di Atri. Decidere di raggiungerlo significa essere gourmet alla scoperta di una novità che, ne siamo certi, si farà presto sentire, si farà presto quel nome che ancora le manca, ma che, dopo averla provata, indubbiamente merita – lo diciamo con spavalda sicurezza.
Qui, accomodandosi, si accetta un concept ben preciso: prima il territorio, poi, quando il territorio viene a mancare, solo in quel caso, il resto, la qualità altrove. Chi non accettasse questo compromesso, stia lontano dal Tosto, perché il giovane Dezio non ha intenzione di virare, di cambiare: il territorio viene prima, perché una cucina che non rispetti e non racconti il suo territorio «è fuori contesto, è anonima».
Proprio non si contraddice, il giovane Gianni, tra ciò che dice e ciò che fa. La prova, chi è testimone di questi suoi valori, sono i piatti. Dando prima di tutto una letta veloce al menu, si resta stupiti: prezzi di encomiabile umiltà, forse troppa, quando si è stati “graziati” con così tante capacità (certamente coltivate, gliene si deve render conto). Si pensi, un menu degustazione ad appena 37 euro. Eppure il Tosto è aperto da 4 anni, e la sua clientela salda, giustamente, se l’è fatta.
Ci si fa un po’ guidare da lui, ci si affida alla sua ispirazione, così, per fare un giro completo e scoprire quell’angolo gourmet di Atri e le sue sceneggiature a tavola. Che ritrovare come esordio un Pane e cipolle servito da bere al bicchiere, certamente stimola la curiosità. E allora, alla scoperta!
Tra le entrée, il gioco arguto di Olive e noccioline è da provare: accompagnato da un Santus Franciacorta, il piatto sbalordisce per l’autenticità dei sapori dei due ingredienti, sapientemente e originalmente rielaborati, il primo sotto forma di spumiglia (il meglio riuscito), il secondo sotto forma di mousse. Ferrea tecnica, concetti basilari tra giochi di consistenze e salvaguardia dei gusti, tutto mixato in 2 piccoli assaggi.
Il pane fa il ruolo del leone – e non ci stupisce: da buon allievo di Niko, certamente è rimasta cara in lui l’idea del pane come prodotto non della tavola, ma più in generale della cultura italiana. Quello con le patate e quello integrale con farina di Solina, vorresti non finissero mai.
Azzeccati il Crudo in doppia consistenza e il Polpo, fagioli e cipolla, ma la sorpresa arriva con uno dei piatti forti di Gianni, il Ristretto di lenticchie affumicate, trippa e rapa bianca. L’affumicatura delle lenticchie, già di per sé un’idea che convince e strega, sfuma al palato lasciando spazio alla trippa, e la rapa bianca marinata controbilancia per consistenza e acidità. Il tutto è ancor più esaltato se abbinato al Launegild Igt Chardonnay Colline Pescaresti. E il territorio, ancora una volta, vince.
Via con qualche assaggio di primi, e anche qui nessun errore – il giovane Dezio dimostra cura nei dettagli e meticolosa attenzione alla buona riuscita del piatto. Brodo di agnello con bottoni ripieni di caciocavallo; Tortelli con ripieno di carciofi, alga al carciofo, fonduta al Pecorino di Atri e liquirizia “a sua volta” di Atri (incredibile che, nonostante la fonduta al Pecorino abbia di per sé un gusto molto intenso, Dezio sia riuscito a dar voce e ruolo di protagonista al carciofo); Riso Carnaroli della Val Vomano, burro acido, acciughe e salvia.
E ora, un altro picco: prima il Ristretto di lenticchie, ora lo Sgombro laccato con mosto cotto, senape selvatica e cagliata di pecora. Da assaggiare inizialmente solo, lo sgombro, e immaginarsi che è così che un pesce, se proprio debba esser sacrificato, vorrebbe andarsene. Altra vittoria del territorio: «La senape può dare l’idea di un piatto orientale – ha raccontato Gianni – in realtà è tutto di queste zone, dalla senape per prima fino allo sgombro, del nostro mare».
Bella l’”abruzzesità” di questo chef, bella la sua fantasia. Ma soprattutto belle, o comunque certamente utili le lezioni che si porta da Niko a Tosto: «Di Niko mi sono rimaste le tecniche, come le consistenze dei brodi o la ricerca di amaro e acido: un piatto prima di tutto non ti deve stancare, e tu, ospite, devi essere in grado di coglierne distintamente tutti gli elementi».
Eh sì, il giovane Dezio ha ragione: un piatto dev’essere riconoscibile, i suoi ingredienti pure, e per estensione la materia prima tutta della Cucina italiana. Anche Anthony Genovese de Il Pagliaccio l’ha detto: basta misteri per la Cucina italiana. Una Cucina che è ora prenda il suo posto nel mondo, con tutte le sue espressioni, prima, quella della singolarità di ogni territorio.