Ultimi 2 giorni per la grande mostra di Toulouse Lautrec a Palazzo Reale di Milano
Ormai è alla fine la mostra Henri Toulouse Lautrec. Il mondo fuggevole a cura di Danièle Devynck (direttrice del Museo Toulouse-Lautrec di Albi) e Claudia Zevi, in cui vengono esposte oltre 200 opere, fra cui 35 dipinti, numerose litografie e acqueforti e la serie completa dei 22 manifesti. Opere che raccontano la breve vita di un uomo geniale e la sua epoca, con i suoi personaggi, le sue abitudini. La mostra si contraddistingue per un modo estremamente completo di trattare l’artista a partire dalla sua variegata produzione. Si parte addirittura da una serie di foto, che pur non essendo suoi scatti, ma opera del suo amico fotografo Maurice Guibert, ci mostrano la maniera in cui Lautrec, disdegnando la sua immagine, sente di potersi mostrare al mondo: con fare ridicolo, caricaturale, colto in momenti inappropriati, imbarazzanti, sprezzante delle norme del buon costume. Sprezzante come chi non riesce in realtà ad accettarsi fino in fondo. A questa altezza viene esposto pure l’unico autoritratto che l’artista eseguì. Si passa poi a quelle opere, da acqueforti fino a manifesti, in cui l’artista si rivela a partire dall’analisi del suo sguardo sul mondo e sui personaggi che lo popolano, più che da una diretta autorappresentazione. Ed è qui che ci troviamo immersi in un vero e proprio percorso attraverso la figura umana così come l’artista la coglie nel suo mondo effettivamente, direi, fuggevole. Personaggi caratteristici, ma anche anonimi, immortalati nella loro quotidianità e nella loro umanità, attraverso tratti spessi e rapidi.
Ad ogni tratto si percepisce un occhio sensibile, che ha scrutato in profondità e con tutta la sua anima, la realtà che lo circondava, cogliendo quel dettaglio che in quel momento la distingueva. La schiena, le mani, i capelli “d’oro”, quella parte che diventa un tutto nell’armonia dello sguardo dell’artista. Perché è così importante farsi colpire da un qualcosa e Lautrec ce lo insegna. L’artista non ha mai paura di farci vedere attraverso i suoi occhi e ci riesce in maniera magistrale. E questa devozione per la figura umana, lo porta a rifiutare il paesaggio, perché come dice lui: “Esiste solo la figura umana; il paesaggio è, e dovrebbe essere, niente più che un accessorio”. Eppure è a partire da questo rifiuto per il paesaggio che Toulouse Lautrec compie anche un’altra operazione molto interessante. La ridefinizione del manifesto infatti porta ad una riscrittura dello scenario urbano, anch’esso paesaggio in qualche modo, che appunto lo rigenera. Manifesti impattanti, che catturano lo sguardo. Proviamo ad immaginarci la Parigi della Belle Époque e per un attimo soffermiamo lo sguardo su un crocevia, pieno di gente, pieno di rumori: ecco che, improvvisamente e inevitabilmente, il nostro occhio sarebbe attratto da un punto di colore in lontananza, dove un manifesto dei suoi era stato affisso.
Niente prospettiva, campiture di colori piatti, forti contrasti e contorni, sapienza nell’utilizzo del colore nero e maestria nell’utilizzo delle curve. È così che Lautrec è in grado di mostrare a tutti il suo sguardo sulla realtà, aprendo dei varchi, degli scorci di un dentro in un fuori, in maniera netta, contrastiva. Non è facile superare la paura di staccare, di tagliare, in un’epoca dove molti si esprimevano in visioni tenui e soffusi. Toulouse è netto, non ha paura di sintetizzare, di semplificare, creando un’espressività che poggia sul coraggio dei suoi tratti. Basta una linea per creare un corpo fluttuante, pieno di aspettative e di storia.