Charlotte Rampling: «Le donne devono sapere che saranno ascoltate!». È uscito Hannah di Andrea Pallaoro. Intervista a Charlotte Rampling e al regista.
Vincitrice della Coppa Volpi alla 74. Mostra d’Arte Cinematografica di Venezia, dal 15 febbraio Charlotte Rampling è tornata a a incantare il pubblico sugli schermi di tutto il mondo. E per farlo, ha scelto un film italiano: Hannah, del giovane Andrea Pallaoro. A Bologna, l’attrice e il regista hanno chiacchierato con noi della loro piccola “opera d’arte”.
Dopo l’anteprima alla 74. Mostra del Cinema di Venezia, dal 15 febbraio I Wonder Pictures porta sugli schermi italiani un film molto particolare: Hannah, l’angosciante indagine nel dolore di una donna… sull’orlo di una crisi di nervi.
Dietro la macchina da presa c’è un regista italiano: Andrea Pallaoro, classe 1982, da Trento con furore. Dopo aver raggiunto il successo internazionale con il film Medeas (2013), il giovane autore (o forse sarebbe meglio dire “auteur”, considerati i riferimenti che non disdegna a Béla Tarr) dirige un mostro sacro della storia del cinema. Charlotte Rampling, magnifica come sempre, sovrasta il film e si conferma una delle attrici più versatili del nostro tempo. Non a caso, proprio grazie a questa mastodontica interpretazione, Madame Rampling (o Lady Charlotte?) a settembre si è portata a casa dal Lido di Venezia la sua prima Coppa Volpi (battendo sulla drammaticità Francis McDormand, presente a Venezia con Three Billboards Outside Ebbing, Missouri, che proprio in questi giorni sta facendo incetta di premi).In occasione dell’uscita del film, l’attrice e il regista hanno incontrato la stampa nella maestosa cornice dell’Hotel Majestic di Bologna.
Le disgrazie non vengono mai da sole nel nuovo film di Andrea Pallaoro.
Dopo l’arresto del marito, la routine a cui Hannah cerca disperatamente di aggrapparsi cade a pezzi: sono tanti i dubbi morali che dovrebbero toglierle il sonno (non per ultimo, il crimine commesso dalla sua dolce metà), ma la protagonista non sembra molto interessata a cercare le risposte. Al contrario, tra il lavoro di domestica in una casa che sembra più un’astronave, i corsi di teatro à la Lynch 2.0 e gli sporadici salti in piscina, Hannah vive con estrema apatia il dispiegarsi sempre uguale di una quotidianità grigia e impietosa, in perenne bilico su un drammatico epilogo.
«Hannah è un film è sulla solitudine e sull’abbandono, fra le cose con cui abbiamo la maggior difficoltà ad adeguarci», con queste parole, Charlotte Rampling introduce il pubblico al suo personaggio.
Protagonista indiscussa del film, infatti, è proprio (anzi, soltanto) lei: Hannah. Reduce dal successo di 45 Years (Andrew Haigh, 2016) e ormai del tutto a suo agio nei giochi di ruolo sull’identità agé – nonché in quella che si potrebbe coraggiosamente definire una “socratica” ricerca di se stessa – a raccontare la sua Hannah è proprio Madame Rampling:
«Hannah è un personaggio delicato. Al centro di una situazione drammatica, è come se camminasse sulla sabbia: va continuamente su e giù, s’interroga in silenzio su come reagire alla sua tragedia e decide in modo del tutto ingenuo come comportarsi. Certo la sua condizione è abbastanza insolita, ma penso che molte persone vi potranno trovare qualcosa della propria esperienza. La forza del film risiede proprio nell’opportunità per gli spettatori di portare Hannah dentro di loro, nelle loro vite… in qualche modo, di fare un viaggio con lei».
Anche il regista, al fianco della sua musa, non ha dubbi: «Il percorso intrapreso da Hannah non è un’indagine, ma un vero e proprio viaggio (un viaggio interiore, ça va sans dire). Attraverso il silenzio (tanti, opprimenti silenzi) la strada dello spettatore è una vera e propria discesa agli inferi – e in quanto tale restituisce un impagabile senso di angoscia e sgomento».L’intenzione del regista è sempre stata quella di dar forma a un’opera senza mezzi termini, ma che si tenesse lontano dal giudizio morale: Pallaoro parla di vera e propria “catarsi”, dell’opportunità d’immedesimarsi con la sua protagonista. L’obiettivo di Hannah, così, non è tanto quello di dare un esempio, quanto l’impellente necessità di raccontare una storia vera, reale. È proprio per questo che, provocata dai giornalisti, Charlotte Rampling porta come esempio la scena di nudo:
«The thing about nudity is: it could be gratuitous, it could be just there, it could be to make people get sexy, or maybe it could just work to tell a story. Tutte le scene di nudo che ho fatto in passato, così come quest’ultima in Hannah, contribuivano semplicemente al racconto reale di una vita altrettanto reale. Ho sempre utilizzato la nudità come espressione automatica, naturale della spontaneità, della realtà dei miei personaggi. We’re talking about real people in films, and it’s real people that we’re playing».
Per il regista, non ci sono stati dubbi sulla scelta dell’attrice: «Mi sono innamorato di Charlotte da bambino, guardando La Caduta degli Dei [Luchino Visconti, 1969] in un piccolo cinema della mia città».
Dal canto suo, nemmeno Lady Charlotte ha esitato sulla scelta del ruolo: «Andrea [Pallaoro] mi ha mandato la sceneggiatura mentre eravamo entrambi a Marrakech. O meglio, non era una vera sceneggiatura: era un resoconto dettagliato, meravigliosamente dettagliato, molte pagine in cui parlava soprattutto della sua ispirazione e di come avesse visualizzato nella sua mente il film. Mi è subito sembrata un’opera d’arte, più che uno screenplay. Per questo ho voluto incontrarlo subito, al mio ritorno a Parigi».Il regista, chiaramente, si è detto “on cloud nine” (al settimo cielo) nel ricevere una simile risposta.
Continua la Rampling: «Andrea mi aveva immaginata al centro di questa performance fin dal principio. C’era un’intenzione emotiva, visiva (lett. “visual”) nel suo sguardo… Era davvero meraviglioso, non avevo mai visto niente di tutto questo. Quando ho recuperato Medeas, ho riconosciuto quello sguardo particolare e unico e mi sono innamorata della sua estetica cinematografica. In quel momento ho deciso di dirgli di sì.
C’è qualcosa di molto avvincente, di “compelling”, nella visione di Andrea e nel suo lavoro. “Compelling” è una parola molto efficace, non saprei come tradurla in italiano. È un feeling intrigante, affascinante. Un progetto che ti trascina, ti costringe, che mi ha stregata».
Il rapporto di complicità instaurato fra il regista e la sua musa è stato di fondamentale importanza sul set. È Pallaoro a raccontarlo: «Ho scritto una sceneggiatura che fosse come una mappa per l’attrice, ma è stata l’interpretazione di Charlotte a dare vera vita ad Hannah. Ci sono tante cose che hanno preso forma proprio grazie al fatto che Charlotte ha incorporato, abitato questo personaggio. Un esempio? L’ultima inquadratura. Il finale del film, fino all’ultima immagine, lo abbiamo raggiunto insieme e rappresenta forse al meglio la summa della nostra collaborazione. C’è stato un dialogo costante fra di noi, meglio di quanto avrei mai potuto sperare».Nel turbinio degli ultimi avvenimenti che hanno scosso Hollywood e l’industria internazionale del cinema, la rappresentazione di un personaggio totalmente passivo costituisce un caso d’eccezione rispetto alla forza che le donne del cinema (ma non solo) stanno dimostrando in tutto il mondo. Chiamata a lasciare un commento sulla questione, l’attrice ha dimostrato di avere ben presente la dimensione e l’importanza della voce delle sue colleghe: «Questo meccanismo malato è andato avanti per troppo tempo. Il movimento non è solo giusto, ma necessario. C’è chi ne ha parlato come qualcosa di esagerato, chi invece dice che dovremmo fare di più… Ma è fondamentale tenere viva la discussione e smettere di abbassare lo sguardo. Le donne devono dire ciò che accade, che è sempre accaduto e devono sapere che saranno ascoltate».
Protagonista indiscussa della scena cinematografica di tutto il mondo, con salti dal cinema d’autore (uno su tutti, la sua collaborazione con Guy Maddin nel meraviglioso quanto complesso The Forbidden Room, che più di nicchia non si può) fino a produzioni hollywoodiane molto più commerciali (sarà prossimamente nei cinema in Red Sparrow, al fianco di Jennifer Lawrence), senza farsi mancare visite occasionali anche alla serialità televisiva (indimenticabili i suoi ruoli in Dexter e Broadchurch), Charlotte Rampling non è nuova nemmeno al cinema italiano.
Non si possono dimenticare le sue interpretazioni in film come La Caduta degli Dei di Luchino Visconti e l’intramontabile classico Il Portiere di Notte di Liliana Cavani, due esperienze che l’hanno segnata, l’hanno resa un’icona del grande schermo, e che a distanza di tanti anni ricorda ancora con emozione.«Per me Liliana Cavani è stata un’insegnante, come Luchino Visconti. Nel loro essere completamente diversi l’uno dall’altra, fuori dal comune – e ognuno radicato nel suo mondo – entrambi furono dei maestri per me, dei punti di riferimento indispensabili. Io ero molto giovane, avevo vent’anni, quindi è stato normale sentire una sorta di… devozione nei loro confronti. Sono ancora in contatto con Liliana Cavani. Con Visconti, invece, ho un grande rimpianto: mi aveva detto più volte che avrebbe voluto girare un altro film con me, ma purtroppo ci ha lasciati prima che fosse possibile».
La domanda è d’obbligo: e riguardo al cinema italiano contemporaneo? «Ci sono davvero grandi registi in Italia. Dopo un momento di crisi, il cinema italiano sta riprendendo quota. It’s certainly coming back, it’s been tricky for a while… ma per fortuna sta tornando a grandi fasti creativi – e soprattutto a grandi talenti».
Fra simpatici gap linguistici e difficoltà di pronuncia, Charlotte ha ben chiara la sua top three dei registi italiani che oggi ci rendono grande onore :«Luca Guadagnino (“Guadagni…gni… Oh, voi italiani e questo ‘gn’!”), Paolo Sorrentino… “E Andrea “Pallaloro”, ovviamente!».
Ed è così che, fra le risate generali, per Madame Charlotte arriva il momento di congedarsi. Senza disdegnare una foto ricordo con i giornalisti che, prima di tutto, non possono che essere suoi grandi ammiratori.