In mostra a Losanna la forza espressiva del pastello, dal Cinquecento al Duemila.
Pastelli dal XVI al XXI Secolo. Sei secoli di storia dell’arte raccontati in una mostra interamente dedicata al pastello. Oltre 150 opere da collezioni pubbliche e private svizzere, piccoli ma raffinati capolavori che rivelano un lato poco conosciuto di tanti artisti di fama mondiale. Alla Fondation de l’Hermitage di Losanna, fino al 21 maggio 2018.
In equilibrio fra disegno e pittura, materico e insieme lieve, il pastello come tecnica pittorica vide la luce tra l’Italia e la Francia attorno al Cinquecento, ma poco si sa della sua esatta affermazione, a causa delle poche opere dell’epoca che sono giunte sino a noi; da testimonianze conservate in antichi documenti sappiamo infatti che l’utilizzo dei primi pastelli non era semplice, a causa della scarsa resistenza del colore una volta applicato sulla carta. Tecnicamente i pastelli sono costituiti da una pasta (da qui il nome) di pigmento di colore puro, un minerale bianco, solitamente calcare o argilla, e da gomma vegetale che funziona da collante, e solo dopo lunghe ricerche e applicazioni fu individuata la giusta formula compositiva.
Fra le prime prove certe dell’utilizzo di questa tecnica (a parte un disegno di un anonimo francese, conservato al Louvre e risalente all’anno 1500 circa), si annoverano alcune prove di Jacopo da Ponte e Federico Barocci della metà del XVI Secolo, che convenzionalmente vengono indicati come gli iniziatori.
Inizialmente il pastello non è utilizzato come mezzo autonomo, ma entra in opere già eseguite per sottolineare, grazie al suo tratto vigoroso, alcuni particolari, per creare effetti cromatici più marcati; oppure, più spesso, il pastello serve per tracciare i bozzetti di opere che si andranno a compiere su tela, oppure per la preparazione degli affreschi, disegnando sulla parete i margini delle figure.
Così è infatti per i pastelli del Barocci e del da Ponte, e tale sarà il destino del pastello fino al Settecento. Tuttavia, la novità del pastello non fu soltanto tecnica, ma anche espressiva, poiché questo bastoncino colorato, grazie alla purezza del colore che contiene, apportò una vitalità cui né olio né tempera erano ancora arrivati. Lo si comprende dal volto femminile del Barocci, il cui incarnato risplende di una matericità che la tempera ancora non aveva espresso.
Poiché nel pastello la grazia del tratto si lega alla forza del colore puro, la grande stagione di questa tecnica pittorica fu il Settecento, che della grazia, almeno in Francia, aveva fatto una religione. Ovviamente, a favorirne la diffusione furono anche la sua economicità e la praticità d’uso, ma i pregi estetici ebbero la loro importanza: i colori risaltavano con maggiore brillantezza, e l’aspetto vellutato del pigmento permetteva di rendere con accentuata sontuosità la materia, sia che si trattasse dell’incarnato, specialmente quello femminile, sia che si trattasse di stoffe come il pizzo e la seta, si cui la moda altolocata del Settecento faceva largo uso.
>> Per questi pregi estetici, il pastello incontrò il favore di un’epoca che aveva nell’estetica una ragione di vita. Jean-Baptiste Perronneau, Joseph Ducreux, Jean-Etienne Liotard, Maurice Quentin de La Tour, furono i ritrattisti di quell’aristocrazia incipriata e imparruccata, quasi prigioniera di abiti tanto sontuosi quanto complicati.
Liotard è fra questi il più talentuoso, convinto sostenitore del principio di realtà nell’arte; la sua ritrattistica è diretta discendente di quella fiamminga e olandese del secolo precedente; l’Europa riformata fu la prima regione a vedere la nascita di una borghesia e di un’arte a essa dedicata, ed ebbe nella ritrattistica la prima forma di promozione sociale. Adottata, successivamente, anche dagli altri ceti abbienti europei, non necessariamente soltanto nobili. Per questa sua peculiarità, le opere della prima metà della mostra raccontano uno spaccato di realtà sociale europea, anche se limitato ai ceti più elevati.
Dopo la Rivoluzione Francese, il pastello perse di popolarità stanti i suoi legami con l’aristocrazia dell’Ancien Régime; uscirà da questo ingiusto oblio soltanto nella seconda metà dell’Ottocento, con gli Impressionisti e i loro precursori, che lo utilizzarono anche per scene di genere – non più soltanto legate al mondo aristocratico, ma aperte anche a quello contadino -, quando non si tratti di paesaggi naturali o urbani.
Un cambiamento di gusto dovuto ai ben più radicali cambiamenti sociali dell’Europa, che conobbe le masse operaie e contadine a seguito della diffusione delle teorie marxiste; gli “umili” ebbero così diritto di cittadinanza, nella sensibilità delle nuove esperienze artistiche, in particolare con Jean-François Millet; il paesaggio fu invece indagato da Eugène Boudin, le cui marine ispirarono molto gli Impressionisti. Fra questi, i pastellisti più interessanti furono Sisley e Degas. Il primo si distingue per l’equilibrio coloristico che raggiunge nei suoi paesaggi, di cui cura particolarmente i cieli e la luminosità. Degas, invece, si distingue per la matericità del tratto, e per l’inaccuratezza quasi espressionista dei volti, e la plasticità delle sue ballerine. Con lui il pastello compie un salto di qualità verso l’arte del Novecento, rispetto ai più mondani Vuillard, Zandomeneghi e Boldini.
>> L’avventura del pastello proseguì nel nuovo secolo, di cui raccontò le angosce esistenziali attraverso il Simbolismo di Redon, dove i colori si fanno evanescenti o irrealmente “acidi”, la materia si fa sfuggente, e il gesto si pone a metà fra disegno e pittura, favorevole all’espressione di sentimenti contrastanti, visioni interiori o immagini oniriche.
Con l’irrompere delle avanguardie, in particolare quella cubista, il pastello, come la pittura, perse i suoi connotati figurativi, e si spostò sull’astrattismo, e in un certo senso riuscì a dare il meglio della sua forza espressiva, poiché il colore prese il sopravvento sulla forma. Pur se in larga parte abbandonato per la diffusione di tecniche pittoriche più moderne, il pastello ha accompagnato anche il secondo Novecento ed è giunto fino al III Millennio; nessuna corrente ha resistito al suo fascino d’altri tempi, dall’Informale all’Espressionismo astratto, passando per l’Art Brut e la pittura analitica. I suoi colori hanno saputo farsi interpreti e metafore della crisi sociale del secondo dopoguerra, così come del disorientamento degli anni Duemila,
La mostra della Fondation de l’Hermitage costituisce occasione di approfondimento estetico su una tecnica espressiva ma non molto considerata, e racconta il lato meno conosciuto di tanti artisti che hanno fatta la storia dell’arte mondiale.