He always returns to the scene of the crime. Correva l’anno 1989 e a Palazzo Grassi a Venezia, proprietà allora della royal family Agnelli, Germano Celant curava, non da solista come oggi, ma sotto l’egida di Pontus Hulten, la mostra Arte Italiana Presenze 1900-1945. Forte di quell’esperienza torna oggi sull’argomento presentando alla Fondazione Prada di Milano Post Zang Tumb Tuuum. Art Life Politics: Italia 1918-1943 (sino al 25 giugno).
Se allora nel suo testo in catalogo cercava di gettare un ponte tra i movimenti dell’avanguardia storica e le neo avanguardie contemporanee italiane – non specificando quali, ma lasciando alla perspicacia del lettore la soluzione del rebus – oggi si affida alle lenti che Jacques Rancière, filosofo di formazione marxista e allievo di Louis Alththusser, gli fornisce. “Partendo dal presupposto che l’arte non esiste mai in astratto, ma si forma e prende forma in un determinato contesto storico e culturale e quindi l’aspetto politico e quello estetico sono inscindibili”, la mostra si sviluppa attraverso un monumentale e filologico lavoro archivistico di ricerca, impaginando le opere in una fitta ragnatela di informazioni tese a ripristinare il contesto socio-ambientale di riferimento, ricostruendo, con l’ausilio di materiale fotografico, le sale di molte delle più significative esposizioni ed eventi culturali dell’epoca.
Un lavoro che conferma le notevoli doti organizzative e la credibiltà di cui gode Germano Celant presso qualsivoglia istituzione. Last but not least, l’incredibile profusione di mezzi ed energia che la Fondazione Prada spende per l’arte, da fare impallidire di vergogna, ancora di più in questo specifico caso, le varie amministrazioni comunali che si sono succedute negli anni che mai si sono seriamente occupate di “fermare”, se si prescinde da quello sputacchio del Museo del Novecento, un pezzo di storia che ha visto Milano e la Lombardia protagoniste della vicende artistiche nazionali. Bon, esauriti i cinque minuti di bontà, tocca tornare quello di sempre. La mostra è bella e merita l’impegno che richiede per visitarla. Certo che in cotanta abbondanza si poteva dare un maggior risalto ad alcune figure non così secondarie come ad esempio Alberto Martini, sofisticatissimo interprete di un simbolismo surrealista noir, oppure i molti protagonisti di quella fortunata stagione romana nata al caffè Aragno tra i quali Francesco Trombadori, Riccardo Francalancia e Antonio Donghi.
Aldilà di queste considerazioni dispiace un poco, però, che il monocolo socio-ambientale-propagandistico precluda, a mio immodesto avviso, letture meno scontate di quel controverso momento della storia. L’utilizzo della cultura a fini politico-ideologico-propagandistici non è stato un’esclusiva del fascismo e non è confinato solo in quell’arco temporale, basti pensare al ruolo di Picasso, da Guernica in poi, e del conseguente engagement culturale di moltissimi fra i più prestigiosi esponenti dell’intellighenzia europea, infatuati dell’oltre cortina. Le prime decadi del secolo breve, di cui l’Italia – come spesso le accade – sono state uno straordinario ed originale laboratorio, dopo l’esaurisi della spinta delle avanguardie storiche, e hanno visto nascere un sofisticatissimo dibattito culturale.
Attorno a Valori Plastici, tra il 1918 ed 1922, si è andato formando un profondo sentimento antimoderno che propugnava un rinnovato classicismo ed un completo distacco da ogni impegno pratico, sociologico o politico, già cosciente delle storture della società di massa e dell’industria culturale. Il riaffiorare di un sentimento antimoderno – di cui Giorgio de Chirico è stato il lucido capostipite in ambito figurativo, perfettamente conscio della crisi epistemologica in atto – credo sia il vero discrimine per una rilettura di quegli anni. Già Charles Péguy, morto nella carneficina della Prima Guerra Mondiale, aveva lasciato pagine fondamentali circa la crisi della modernità, così René Guenon ed il “nostro” Julius Evola per non dimenticare i poeti Thomas Eliot ed Ezra Pound che pagherà carissimo il suo amore per l’Italia ed il furore contro il potere della finanza speculativa del mondo anglosassone. Tutti temi che l’orologio della storia inesorabilmente ci ripropone oggi in questi incerti tempi.
Dunque, moderni o antimoderni, that is the question.
Ah, dimenticavo! aldilà delle chiacchiere, a guardare le opere, così, senza pregiudizio alcuno, minchia, si stava meglio quando si stava peggio…
Antimoderni saluti
L.d.R.
POST ZANG TUMB TUUUM. ART LIFE POLITICS: ITALIA 1918-1943
18 Feb – 25 Giu 2018
www.fondazioneprada.org