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Tintoretto, nascita di un genio. Parigi celebra gli anni giovanili del “terribile” pittore

Tintoretto - Il peccato originale, 1551-2 Galleria dell'Accademia, Venezia © Archivio fotografico Gallerie dell’Accademia, su concessione del Mi Tintoretto - Il peccato originale, 1551-2 Galleria dell'Accademia, Venezia © Archivio fotografico Gallerie dell’Accademia, su concessione del Mi
Tintoretto - Il peccato originale, 1551-2 Galleria dell'Accademia, Venezia © Archivio fotografico Gallerie dell’Accademia, su concessione del Mi
Tintoretto – Il peccato originale, 1551-2 Galleria dell’Accademia, Venezia © Archivio fotografico Gallerie dell’Accademia, su concessione del Mi

Nell’imminenza del cinquecentenario della nascita di Jacopo Robusti, noto come il Tintoretto, Parigi celebra gli anni giovanili della sua carriera, fondamentali anche per lo sviluppo della pittura veneta del Cinquecento. La mostra è organizzata da Réunion des musées nationaux – Grand Palais, Paris e Wallraf-Richartz-Museum & Fondation Corboud di Colonia. Al Musée du Luxembourg fino al luglio 2018. www.museeduluxembourg.fr

Parigi. La Venezia del Cinquecento aveva raggiunto l’apice della sua potenza: era una delle città più importanti e ricche del mondo, una potenza commerciale e marinara che poteva vantare anche floridi possedimenti lungo le coste dell’Adriatico orientale, oltre a numerosi fondachi in Oriente. Anche se la scoperta delle Americhe avrebbe aperte nuove rotte commerciali a Occidente, avviando di fatto il declino della città, almeno fino alla seconda metà del secolo riuscì a mantenere il suo rango. L’avvedutezza della classe dirigente – rappresentata, più ancora che dal Doge, dal Consiglio dei Dieci -, era riuscita a limitare le perdite territoriali nell’Italia del nord, a seguito della sconfitta di Agnadel, ma soprattutto a mantenere i possedimenti orientali, e attraverso un’avveduta politica commerciale assicurava le basi per un tenore di vita medio fra i più alti d’Italia; la ricchezza della classe mercantile, non necessariamente di provenienza nobiliare, costituiva il fondamento di un attivo mecenatismo artistico. Oltre che il secolo del Rinascimento fiorentino, il Cinquecento fu anche il secolo della pittura veneta, che concorse allo sviluppo della maniera moderna sulla scia della lezione di Michelangelo, Allori, Bronzino e seguaci.

Tintoretto - Autoritratto, 1547 © Philadelphia Museum of Art
Tintoretto – Autoritratto, 1547 © Philadelphia Museum of Art

Jacopo Robusti (1519-1594), più tardi conosciuto con il soprannome di Tintoretto (a causa del mestiere del padre Giovanni Battista, tintore di seta), fu uno degli artisti più importanti del Cinquecento veneto, ma la sua formazione giovanile è ancora oggi poco conosciuta, e non suffragata da certezza sono le notizie riportate da Carlo Ridolfi circa una sua frequentazione della bottega di Tiziano; ancora Ridolfi riporta come Robusti abbia affinato la sua pittura lavorando per un periodo come decoratore di casse e forzieri, che all’epoca erano molto utilizzati come componenti d’arredo; altri studiosi propendono per una sua formazione da autodidatta, che l’avrebbe visto tenere le sue prime personali sulle Mercerie, come allora era consuetudine per quei giovani talenti “indipendenti” che avessero voluto farsi conoscere dal pubblico.

La mostra Tintoretto. Nascita di un genio, diretta da Roland Krischel, documenta la fase giovanile della carriera dell’artista, che Giorgio Vasari definì “il terribile” per l’energia che profondeva nella sua pittura.

La scelta dello pseudonimo, quasi un ruvido “nome di battaglia”, rivela da subito le sue ambizioni di giovane dalle origini popolari che rivendica con orgoglio ma dalle quali è determinato a elevarsi attraverso la carriera artistica. E infatti la pittura fu per lui un mezzo per ascendere socialmente e conquistare quei diritti che il popolo non aveva. Pur non essendo una democrazia, comunque, la Repubblica Veneta vantava già allora una discreta mobilità sociale, che la poneva al di sopra di molte altre città italiane. E la vicenda del Tintoretto, lo dimostra. Il suo autoritratto, risalente al 1547, ce lo mostra baffi e pizzo ben curati, e quello sguardo penetrante che potrebbe appartenere a uno scapigliato.

E scapigliata fu, per l’epoca, la sua pittura: Tintoretto rischiara i suoi modelli con una luce violenta, li ritrae in posizioni insolite, grazie alle quali riesce a donare alla figura umana e un dinamismo e una potenza plastica che in pittura non si erano ancora mai viste; si nota nel suo stile un attento studio delle opere di Michelangelo, del Salviati e del Vasari, a livello della prospettiva scenica. E particolare cura poneva nel disegno, che in Veneto era considerato un elemento importante nella preparazione di un dipinto; gli artisti, avvalendosi anche di collaboratori, ne realizzavano numerose copie da calco, anche di semplici particolari dell’insieme, che poi potevano essere venduti sul mercato per aumentare gli introiti. Oppure, gli stessi calchi, detti simili, venivano impiegati per più di un dipinto, anche “in negativo, in modo da cambiarne la posizione. Tintoretto utilizzò molto questo metodo di lavoro, eseguito in parte anche dai suoi aiuti, fra cui Giovanni Galizzi, e a distanza di secoli non sempre è facile l’attribuzione delle opere; molte delle quali che in passato erano state ascritte a Tintoretto, adesso vengono più probabilmente ascritte agli aiuti. Tuttavia, al di là di questa caoticità a posteriori, la bottega del Tintoretto divenne una delle principali e meglio organizzate della città, della quale si hanno notizie certe dal 1538, quando il pittore era appena diciannovenne. In questa fase, fino al 1542, guardava molto a contemporanei quali il Pordenone, Tiziano, Bordone, e i già citati Michelangelo e Salviati,  aggiungendo però alle sue opere una vasta immaginazione compositiva.

Tintoretto - La principessa, san Giorgio e il drago, 1551 Galleria dell'Accademia, Venezia © Archivio fotografico Gallerie dell’Accademia, su co
Tintoretto – La principessa, san Giorgio e il drago, 1551 Galleria dell’Accademia, Venezia © Archivio fotografico Gallerie dell’Accademia, su co

La Conversione di San Paolo (1538-39) è emblematica della pittura giovanile del Tintoretto, con il futuro apostolo posato su un altare, come una vittima sacrificale, metafora dell’amore per Dio. La scena è dinamica, con una disposizione centrifuga, e il grido di San Paolo sembra riempire la tela con la sua drammaticità, mentre intorno vorticano figure a piedi e a cavallo; quella sul cavallo bianco a sinistra, è un chiaro rimando a Tiziano e alla sua Battaglia di Spoleto, fra i capisaldi della pittura di guerra cinquecentesca.

Il Labirinto dell’amore, vera e propria allegoria della vita, come recita il sottotitolo, può essere visto come un’anticipazione delle trame dell’amore e del caso, per citare Marivaux. Un dipinto colto, che include citazioni dalla letteratura cortese e da quella esoterica, nonché scientifica. Ad esempio, il labirinto disposto a cerchio, e la sua divisione in quattro quarti, come fosse una bussola, accosta i punti cardinali al ciclo delle stagioni e dell’età dell’uomo, così come al ciclo degli umori e degli stati d’animo. Una pittura fiammeggiante e una prospettiva a volo d’uccello, sono le caratteristiche principali di questo dipinto suggestivo, dove è riconoscibile Piazza San Marco vista dai giardini della Giudecca; il punto di vista e la resa del paesaggio, sono molto vicini a quelli della Conversione, che precede di due anni.

Pur acquistando notorietà, il giovane Tintoretto doveva scontrarsi con l’agguerrita concorrenza dei colleghi, che a Venezia erano particolarmente numerosi, e ognuno dei quali cercava di ritagliarsi spazio specializzandosi in un preciso settore. Robusti scelse di soddisfare la vasta domanda di cassoni decorati, con i quali aveva cominciato pochi anni prima. Una committenza privata che, se non gli consentiva l’ampio respiro delle grandi tele, almeno gli garantiva un certo reddito fisso. La mostra parigina documenta questa su attività con pregevoli tavole dipinte, un tempo inserite in cassoni o altri mobili, con scene bibliche o mitologiche, sempre caratterizzate da vivaci movimenti scenografici, che poi torneranno nelle grandi tele che costituiscono i suoi capolavori.

Tintoretto - La Conversione di San Paolo, 1538-9 © National Gallery of Art, Washington
Tintoretto – La Conversione di San Paolo, 1538-9 © National Gallery of Art, Washington

A partire dalla metà degli anni Quaranta, Tintoretto guardò al dalmata Andrea Schiavone, e alla sua pittura rapida, ma soprattutto il suo stile conobbe una svolta dopo il fondamentale viaggio a Roma che intraprese (di cui non conosciamo i dettagli né la data esatta), e dal quale tornò a Venezia con un bagaglio artistico assai arricchito: a partire da quest’epoca, la sua pittura è densa di narrazione drammatica, e la scenografia si fa teatrale, con edifici dipinti in prospettiva, che dimostrano le sue conoscenze all’avanguardia in fatto di architettura e testimoniano anche i suoi rapporti con il mondo del teatro.

L’Urbe era all’apice del suo controverso splendore, Michelangelo e Raffaello stavano arricchendo viepiù la sua bellezza eterna, e le maggiori famiglie, dai Farnese agli Odescalchi, profondevano enormi capitali nel mecenatismo artistico. Roma era un teatro a cielo aperto, e non desta meraviglia che le sue atmosfere titaniche” abbiano destata grande impressione nel pittore veneto. Tintoretto assorbì l’impeto di quegli scorci romani, delle opere che aveva ammirato nell’Urbe: nel Cristo e la donna adultera (1547 ca) così come ne Le vergini sagge e le vergini folli (1555 ca), la magnificenza architettonica rinascimentale si dispiega in tutta la sua bellezza. Ma a caratterizzare le opere, è il loro significato: nella figura del Cristo si può infatti leggere un richiamo all’equa amministrazione della giustizia nella Serenissima, pertanto il quadro ha un valore espressamente civile, nonostante il soggetto religioso. La scena delle vergini si rifà invece a un’antica leggenda tedesca, e la composizione è ispirata al Festino di Balthazar, opera di anonimo tedesco della metà del secolo, aggiungendovi però effetti di luce in chiaroscuro di netta derivazione italiana. La plasticità della scultura fiorentina di Michelangelo e dell’Ammannati emerge invece in opere come La principessa, san Giorgio e san Luigi (1551).

Tintoreto - Cristo e l'adultera, 1547-9 © Gallerie Nazionali di Arte Antica di Roma Palazzo Barberini  photo Mauro Coen
Tintoretto – Cristo e l’adultera, 1547-9 © Gallerie Nazionali di Arte Antica di Roma Palazzo Barberini photo Mauro Coen

In quella che può essere definita la terza fase della sua giovinezza artistica, attorno alla metà del secolo, Tintoretto cambiò direzione e abbandonò la teatralità per tornare a una pittura assai più atmosferica, che lasciava ampio spazio al paesaggio, e limitando la presenza dell’architettura. Il paesaggio con figure, buona parte delle quali femminili, diviene il soggetto principale per Tintoretto, che frequenta tematiche sia bibliche sia mitologiche; in ogni caso, la sua donna è carnale e sensuale, dalla pelle color miele come quelle di Tiziano; il ciclo dell’Antico Testamento, in prestito dal Prado di Madrid, sorprende l’erotismo delle figure femminili, così come la mondanità delle loro vesti eleganti e preziose; quadri particolarmente decorativi, perché da appendere a pareti più sobrie di un tempo, da quando i decreti della Serenissima hanno vietato l’uso di tessuti preziosi come arazzi. Pertanto, i quadri potevano in parte supplire all’austerità imposta dall’alto. Comunque sia, le sei tavole lasciano aperti dubbi sulla committenza. Di grande impatto Il concerto delle muse e Il peccato originale, databili alla metà del secolo. Animato e luminoso il primo, più intimo e scuro il secondo, considerato fra i più bei nudi a figura intera della scuola veneta.  In entrambi i dipinti si ritrova la delicatezza pittorica degli esordi, con l’ampio respiro del paesaggio circostante.

L’accostamento in mostra con opere di contemporanei, aiuta a inquadrare la pittura del Tintoretto nel rapporto con i contemporanei, e le influenze che da questi assorbì.

Una mostra di ampio respiro, che permette di apprezzare il talento di un artista di ampio respiro, che portò nella pittura veneta e italiana quei colori brillanti che avrebbero ispirato il Veronese, e seppe interpretare al meglio il lato sensuale del Tardo Rinascimento, che aveva abbandonato il rigore filosofico di Piero di Cosimo, Piero della Francesca, Antonio del Pollaiolo, per volgersi a una riflessione sulla carnalità dell’individuo. Un percorso che arriverà fino a Caravaggio.

Informazioni utili: www.museeduluxembourg.fr

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