A Manhattan è apparso un nuovo murales dell’anonimo street artist britannico, dedicato a Zehra Doğan, la ventottenne giornalista e artista turca, di etnia curda, condannata a quasi tre anni di carcere per aver realizzato un dipinto
Banksy torna a New York, stavolta per alzare la voce contro l’ennesimo caso di ingiustizia perpetrata dal presidente turco Erdoğan, che, come è ormai tristemente noto a tutti, ha la censura e l’incarceramento facili. La Turchia degli ultimi anni, in particolare quella del dopo fallito colpo di stato del luglio 2016, ha infatti visto moltiplicarsi i processi e gli arresti di giornalisti, scrittori, politici dell’opposizione, persino insegnanti universitari. Per non parlare delle misure di Ankara a sfavore della libertà di informazione ed espressione, che mirano a isolare il paese e a convertirlo in un nuovo impero ottomano, reazionario e oscurantista. Tra le ultime, il blocco dell’accesso a Wikipedia, voluto dal governo lo scorso anno, contro il quale la più grande enciclopedia online al mondo sta portando avanti una battaglia legale.
Tornando a Banksy, qualche giorno fa, giovedì 15 marzo, a Manhattan, all’angolo tra Houston Street e Bowery, è apparso un nuovo murales dell’anonimo e sfuggente street artist britannico, dedicato a Zehra Doğan. Il 24 marzo 2017, la ventottenne giornalista e artista turca, di etnia curda, era stata condannata a due anni, nove mesi e ventidue giorni di carcere. Quasi tre anni dietro le sbarre per aver realizzato un dipinto ispirandosi ad una fotografia che circolava sui social media, scattata nel 2015 nella cittadina di Nusaybinm, nella Turchia sud orientale, al confine con la Siria, durante i pesanti combattimenti tra l’esercito turco e i militanti curdi. La foto, così come il dipinto, ritrae un paesaggio urbano post bellico, con veicoli militari ed edifici bombardati da cui sventolano enormi bandiere turche. L’opera è stata immediatamente considerata oltraggiosa nei confronti della bandiera nazionale e l’autrice accusata di propaganda e affiliazione ad un’organizzazione terroristica, quale il PKK, il Partito dei Lavoratori del Kurdistan, è considerato dal governo turco.
“Mi spiace molto per lei”, ha dichiarato Banksy al New York Times. “Ho dipinto cose che avrebbero meritato molto di più una pena detentiva”. Su un’ampia parete che in precedenza ha accolto murales di celebri writer, tra cui Keith Haring e il duo brasiliano Os Gêmeos, Banksy ha composto una serie di tacche nere su fondo bianco – come quelle che i detenuti incidono sul muro della propria cella per tenere conto dei giorni di prigionia – che, in questo caso, segnano il tempo trascorso in carcere da Zehra Doğan. La sequenza è interrotta dal volto della giovane artista dietro le sbarre, di cui una è in realtà una matita, impugnata come simbolo di resistenza artistica e intellettuale. Banksy – che ha realizzato il murales in collaborazione con lo street artist americano Borf – ha poi instagrammato l’opera invitando i suoi follower a fare altrettanto e a taggare il presidente Erdoğan con l’hashtag #FREEzehradogan.