Dal 1969, anno di istituzione del Comando Carabinieri tutela patrimonio culturale e della rispettiva Banca dati dei beni culturali illecitamente sottratti i dati registrati sono tragici.
Ecco i numeri precisi che tristemente segnano la storia italiana: 790.626 opere d’arte trafugate, 1.190.791 sequestri di reperti archeologici e 272.384 beni falsificati; 1.192 arresti e 35.584 denunce. La costituzione della Comando e della rispettiva banca dati segna sicuramente un punto di svolta nell’evoluzione storica della tutela penale dei beni culturali per la cui comprensione bisogna però fare dei passi indietro.
Subito dopo la fine della seconda guerra mondiale, considerato quanto del patrimonio storico e artistico italiano era andato perduto, distrutto e soprattutto depredato, la necessità di una tutela reale ed efficace era più che mai necessaria. Tuttavia, nonostante l’espresso riconoscimento tra i valori primari della Repubblica della tutela del paesaggio e del patrimonio storico e artistico, il vecchio codice penale, il codice Rocco, si presentava privo di una disciplina puntuale e decisa in materia di reati contro il patrimonio culturale.
Numerosi e importanti sono stati i passi per l’ammodernamento del nostro ordinamento, a partire dalla costituzione della commissione Franceschini e dalla ratifica della Convenzione UNESCO del 1970 e della più recente Convenzione UNIDROIT del 1995, fino all’approvazione nel 2004 del Codice Urbani, il quale dedica per la prima volta una intera sezione ai reati contro il patrimonio.
Tuttavia, l’attuale tutela penale del patrimonio storico e culturale italiano presenta ancora lacune e, in particolare, risulta priva di “coerenza”, divisa tra codice penale e codice dei beni culturali. Ma lo scorso giugno una nuova piccola rivoluzione ha interessato il nostro Paese. È stato approvato alla Camera il disegno di legge di riforma alla disciplina sanzionatoria in materia con l’obiettivo di assicurare efficienza, efficacia e “coerenza” alla tutela del nostro patrimonio culturale.
Sono le nuove e autonome fattispecie di reato (non più semplici aggravanti di fattispecie generali) gli strumenti voluti dal legislatore, introdotte dai sei nuovi articoli del titolo VIII-bis del codice penale. In particolare, sono il furto, l’appropriazione indebita, la ricettazione, il riciclaggio, l’illecita detenzione, le violazioni in materia di alienazione, l’uscita o l’esportazione illecita, il possesso ingiustificato di metal detector, il danneggiamento, il deturpamento, l’imbrattamento e l’uso illecito di beni culturali (in questo caso anche paesaggistici), la devastazione e il saccheggio, la contraffazione, le attività organizzate per il traffico illecito.
Inoltre, nell’ipotesi in cui vi sia condanna ad una delle fattispecie sopra citate il legislatore ha previsto la misura della confisca obbligatoria sia dei beni che sono prodotto o profitto del reato sia delle cose servite per commetterlo.
In aggiunta, il legislatore ha previsto un generale aumento delle pene che oltre a rafforzare l’effetto deterrente porta con sé l’ulteriore effetto di “trascinamento” sugli strumenti processali, tra i quali l’arresto in flagranza, il processo per direttiva e le intercettazioni telefoniche – tutti strumenti che assicurano maggiore incisività all’operato delle forze dell’ordine nel perseguire i reati contro il patrimonio culturale.
La riforma del codice penale, però, non interessa solamente le persone fisiche ma anche enti e imprese operanti nel mercato dell’arte tra i quali le case d’aste alle quali va sicuramente la fetta più grande di tale mercato. Il legislatore, infatti, non si è limitato ad istituire e inserire i nuovi reati nel codice penale ma ha previsto gli stessi come reati presupposto per l’applicazione della responsabilità prevista dal d.lgs. 231/2001 – quella degli enti per i alcuni crimini commessi dai propri dipendenti.
Di conseguenza, nell’ipotesi in cui un dipendente della casa d’aste sia giudicato colpevole per uno dei nuovi reati commessi nell’interesse o a vantaggio della stessa, è prevista l’applicazione per la casa d’aste di pesanti sanzioni pecuniarie e interdittive (e in alcuni casi anche la pubblicazione della sentenza).
L’importanza della tanto attesa riforma della disciplina sanzionatoria in materia è di immediata lettura. Basta infatti “sfogliare” il data-base del Comando Carabinieri Tutela Patrimonio Culturale, la “Banca dati dei beni culturali illecitamente sottratti”, per capire che nonostante l’eccellente operato delle forze dell’ordine sono ancora molti (troppi) i beni culturali da ricercare e da trovare.
Giusto per citarne alcuni: la Madonna del melograno attribuita a Pier Francesco Fiorentino, trafugata dalla Pinacoteca di Gubbio, la Vergine col Bambino in Trono, attribuita al Garofalo, sottratta nel settembre 1986 a Ravenna, il dipinto di Gesù in croce e due Santi, di Camillo Procaccini, rubato dalla chiesa di Mariano Comense nel 2010, e quello che è forse il caso più noto il furto della Natività di Caravaggio, sottratta nel 1969 dall’Oratorio di San Lorenzo a Palermo.
Vi sono però anche esempi felici, frutto del primato internazionalmente riconosciuto all’Italia nel recupero delle opere d’arte trafugate. Tornerà a Modena (esattamente sopra il paliotto in scagliola intarsiato con la stessa immagine del Guercino) la grande tela trafugata nel 2014 e raffigurante la Madonna con i Santi Giovanni Evangelista e Gregorio Taumaturgo del Guercino così come torneranno a Verona i 17 capolavori, tra i quali alcuni Tintoretto, Peter Paul Rubens, Pisanello e Jacopo Bellini, trafugati dal museo di Castelvecchio a Verona e poi ritrovati a Kiev.