Intervista all’artista Matteo Giagnacovo, classe 1986, nato a Milano dove vive e lavora. Dagli inizi ad alcune riflessioni sul panorama artistico attuale.
Presentati con una frase che pensi possa realmente rappresentarti.
“L’occhio vede solo ciò che la mente è preparata a comprendere.” Henri Bergson
Come ha avuto inizio la tua carriera artistica?
Gli anni di formazione in Accademia a Brera sono stati fondamentali, soprattutto per iniziare a muovere i passi verso questa professione. La collaborazione che ho intrapreso con i miei maestri: Stefano Pizzi, Italo Chiodi, A. B. Del Guercio e Roberto Casiraghi, mi ha permesso di sperimentare e allenarmi per ciò che sarebbe arrivato dopo: la collaborazione in esclusiva con lo Studio d’Arte Cannaviello, grazie al quale ho potuto fare mostre in Italia e all’estero. Il primo grande evento è stato il Flash Art Event in concomitanza con la mia personale alla Galleria Interno 18 di Cremona. Tuttora collaboro con lo stesso.
Hai da poco inaugurato presso Apart – spaziocritico di Vicenza la tua mostra personale Luoghi, oltre, ci racconti questo progetto?
La mostra che vi invito a visitare fino al 14 aprile è un racconto per immagini. La sfida era quella di trasformare con il segno la possibilità di descrivere degli spazi, dei luoghi fisici e dei momenti emotivi. Mi sono dedicato a questo lavoro con un approccio differente rispetto alla descrizione del soggetto, ho analizzato il confine tra il dentro e il fuori, probabilmente per guardare appunto più in la, oltre. La mostra ha un’impostazione piuttosto razionale, opere dello stesso formato che permettono di aprire nella visione delle sorta di finestre verso l’altrove. Interessante è la reazione, per ogni persona il racconto è diverso, li definirei dei paesaggi della memoria.
Qual è la tecnica da te più utilizzata?
Gli strumenti che utilizzo sono pastelli a olio e grafite regolarmente su carta. Amo la carta e seguo questa inclinazione.
Chi è il tuo punto di riferimento in pittura?
Cy Twombly, Anselm Kiefer, Arnulf Rainer, penso a pittori che raccontano utilizzando energia nel gesto, nel segno.
Parliamo ora di cose un pochino più fastidiose. Secondo te quanto è difficile per un giovane artista riuscire ad entrare nel sistema dell’arte?
Entrare nel sistema dell’arte non è difficile perché soprattutto oggi c’ė molta attenzione verso i giovani e anche i meccanismi di accesso sono molto più naturali che in passato, proprio perché si sono moltiplicate le vetrine di quello che chiamiamo sistema. La parte fastidiosa è riuscire a rimanere all’interno del sistema, il lavoro deve rispondere a necessari criteri che apparentemente sembrano contraddittori, ma in realtà sono aspetti fondamentali: la ricerca, la coerenza del metodo, la riconoscibilità. Servirebbero molte più parole per spiegare.
Come può un artista emergente non ancora entrato nel mercato dell’arte, riuscire a sopravvivere con il proprio lavoro?
Questo è un tema molto complesso, oggi ci sono troppe incognite e sopravvivere solo con il proprio lavoro non è così scontato. Molti artisti storicamente hanno fatto e fanno altro per mantenersi. Temo che questa sia una risposta che evolve insieme al momento storico in cui viene posta.
Pensi che i concorsi artistici abbiano ancora un peso nel rivelare il valore di un artista?
Penso che i concorsi aiutino ad aumentare la visibilità di un artista, ma non credo che un concorso possa dimostrare il valore di un artista. L’unica realtà che considero utile sul tema concorsi sono le residenze, affrontare e conoscere nuove modalità permette di far prendere linfa nuova e di mettere alla prova la relazione con il lavoro.
Il tuo sogno nel cassetto?
Il mio sogno nel cassetto è il viaggio, mi piacerebbe viaggiare e raccogliere, ricalcando la figura del flaneur.