Si è appena conclusa a Milano l’ultima mostra di Simone Fugazzotto, Yesterday ended last night, allo spazio MAC di Milano. 5 domande provano a fare chiarezza sulla sua arte, tanto d’impatto quanto bisognosa di una chiave di lettura.
Ti sei formato tra Milano e New York. Cosa hanno dato di diverso queste due città alla tua arte e alla tua persona?
Due anime diverse. Milano mi ha regalato la consapevolezza della mia arte, New York, con quella capacità di farti credere nell’impossibile, l’ha presa dalla mia immaginazione e resa visibile a tutti gli altri. Le amo tutte e due profondamente.
Ci racconti l’ultimo tuo progetto espositivo, Yesterday ended last night, a Milano. Selezione delle opere e filo che le lega assieme nella mega parete degli scenografici spazi del MAC.
La costante ripetizione di un soggetto rende le tue opere riconoscibili e l’indagine sul tema molto approfondita. Qual è il valore che permette al primate di porsi al centro della tua poetica? Credi che in futuro sarà sempre in grado di fornirti i giusti stimoli?
E’ incredibile da pensare, ma anche se io parlo dell’uomo in ogni mio dipinto, le opere nascono nella mia immaginazione già con le scimmie come protagoniste. Non ho mai dipinto un soggetto solo perché era diventato marchio identificativo, se le scimmie mi daranno i giusti stimoli continuerò, se no cambierò immediatamente. Ho sempre seguito l’istinto su queste cose. Però in questo momento trovo sia molto più interessante raccontarci (noi come genere umano) attraverso una metafora che farlo direttamente attraverso la nostra reale immagino. Come dico sempre un dipinto di una donna con il rossetto non ci fa effetto, una scimmia con il rossetto si. Le mie scimmie hanno il semplice scopo di smascherarci, per rivelarci quanto siamo deboli, poetici, patetici e straordinari.
Le tue scimmie sono codici che rappresentano l’umanità. In questo passaggio da uomo a primate, prevale l’intenzione di universalizzare il soggetto o di sottolinearne l’alienazione?
Le mie scimmie sono inserite nella società, non c’è alienazione diretta nei miei soggetti. Io per natura sto molto bene da solo, forse anche perché il mio lavoro mi porta a stare tante ore da solo in studio, e quindi vivo una specie di alienazione quotidiana che trovo bella e assolutamente magica. Piuttosto la mia scimmia universalizza alcuni comportamenti, emozioni e tic di questa società e direi di questa mia generazione, che è piena di complessi e insicurezza, non vuole mai sentirsi definita e non ama nessun lavoro in particolare, sento (a parte qualche eccezione) una mancanza totale di identificazione con la propria passione.
L’uomo metropolitano e la libertà della natura, il cemento ruvido e la brillantezza dei colori. Quanto la tua arte deve al contrasto?
Tanto. Ci sono artisti che trovano la bellezza del loro linguaggio in dettagli impercettibili. La loro voce è chiara.
Io per indole non ho quel tipo di sensibilità e di conseguenza avere dei contrasti forti sia dal punto di vista concettuale che di materiale è l’unico modo che conosco per esprimere quello che sento. Diciamo che alcuni artisti si fanno ascoltare pur parlando sottovoce, io sono costretto a gridare.