In concomitanza con la grande retrospettiva per il centenario della scomparsa, il Leopold Museum di Vienna ospita una mostra di confronto fra Egon Schiele e due suoi epigoni nel corso del secondo Novecento e dell’inizio del Terzo Millennio, focalizzata sulla concettualità del nudo e la rottura delle convenzioni. Fino all’11 giugno 2018.
Vienna. Corpi nudi quasi scheletrici e sofferenti, la muscolatura contratta che diviene una sorta di estensione della psiche umana, la traduzione materica di desideri fisici e voglia di fuga, dal presente e da se stessi. Nell’Europa del primo Novecento, a pochi anni dalla Grande Guerra, l’umanità era in preda all’angoscia e all’insicurezza, e l’arte si fece carico di tradurre in immagini il “dramma della modernità”. Impero Austroungarico e Impero Tedesco furono i centri artistici che meglio seppero interpretare quell’angoscia, anche in reazione alla loro decadenza politica; il cambiamento si avvertiva imminente, ma senza certezze per il futuro, se non la guerra.
Maestro dell’Espressionismo, Egon Schiele (1890-1918) fu uno degli artisti più rappresentativi di quell’epoca di passaggio, quando, nonostante provenisse da tre decenni di intenso sviluppo tecnologico, l’umanità conobbe di nuovo i suoi istinti più bestiali. E a cento anni dalla scomparsa, l’influsso di Schiele (1890-1918), è più vivo che mai. Lo testimonia la mostra Schiele-Brus-Palme. Sogni di cadute, curata da Roman Grabner e pensata come un dialogo a tre voci sul corpo umano e le dinamiche sociali che lo interessano, un dialogo lungo un secolo all’interno della storia dell’arte attraverso tre personalità “di rottura”, sempre sul filo del contrasto fra Eros e Thanatos, e mai timorosi di toccare i tabù della morale.
Con il loro spezzare le convenzioni hanno saputo espandere l’idea della libertà creativa, e per questo hanno cambiato la visuale della storia dell’arte. Ad accomunarli l’utilizzo del disegno come mezzo espressivo per fissare sulla carta le proprie ossessioni, ma anche curiosità e provocazioni: Schiele ne realizzò 3.500, Brus 40.000, e Palme, al momento, è giunto a 18.000.
Il titolo della mostra, enigmatico e inquietante insieme, è motivato dal fatto che la mostra si concentra su quelle opere difficili e scomode che hanno raccontato i lati meno nobili dell’essere umano, le sue cadute morali nella violenza e nell’abiezione. Come un Icaro al contrario, antieroe per antonomasia, l’individuo di Schiele, di Brus o di Palme fa del suo corpo uno strumento di lotta, anche contro se stesso, e la loro produzione artistica è appunto caratterizzata da un’intensa, continuata indagine del corpo nudo e delle sue esperienze fisiche e psicologiche, paure, pulsioni, desideri, necessità.
Le loro opere sono metamorfosi del’Ego, maschere del sé, dove però l’Io non trova requie, e riflettono un secolo di filosofia, dalla morte di Dio di Nietzsche all’Io insalvabile di Ernst Mach, dalla fine dell’uomo di Foucault, fino alla fatica di essere se stessi di Alain Ehrenberg. Influenzato dalle teorie filosofiche di Mach, Schiele ritrae un individuo la cui dimensione fisica e psichica è un tutt’uno con la casualità delle sensazioni, che a loro volta sono il mezzo della conoscenza. Essendo le sensazioni legate alla sfera sessuale le più diffuse nella psiche dell’individuo, Schiele le esaspera, e fa di questa esasperazione la metafora dell’angoscia esistenziale del primo Novecento europeo.
Come egli stesso scrisse: “Il mio sentiero conduce sull’abisso”. Schiele scomparve nell’ottobre del 1918, perdendo così la possibilità di vedere e raccontare il controverso primo dopoguerra europeo. Il medesimo abisso di Friedrich Nietzsche è frequentato anche da Günter Brus (1938), formatosi nell’Europa del secondo dopoguerra e protagonista della scena artistica degli anni Sessanta; e proprio a mezzo secolo di distanza dalla fine della Grande Guerra il Vecchio Continente vide esplodere la contestazione giovanile, e l’inizio di una nuova fase di cambiamenti che però è sempre figlia di quell’angoscia di cui non sembra più possibile liberarsi.
Brus fa del corpo umano uno strumento di lotta politica contro le strutture del potere, per raggiungere quello che secondo Nietzsche è lo scopo più alto dell’individuo: essere ciò che si è. Missione non facile all’interno della nascente società di massa, creata appunto dal sistema, alla quale anche l’arte risponde con la “fantasia al potere”. Il vilipendio ai simboli nazionali austriaci costò a Brus sei mesi di prigione nel 1968. Riecheggiando Michel Foucault, anche per Brus il sesso è possibilità di una vita creativa, uno strumento di lotta.
Da un punto di vista dello stile, echeggia molto Schiele, con quei corpi scheletrici e al limite dell’orrido, dove la sessualità non è estetica ma diventa psicologia. E ancora, li accomuna il largo uso di pose lascive e scene di masturbazione, e in entrambi viene meno la tradizionale separazione fra immagine privata e pubblica. Tuttavia, a differenza di quanto accade per Schiele, in Brus il desiderio erotico è marginale, nel contesto di una più ampia indagine politica ed esistenziale del corpo e dei suoi bisogni.
In ultima analisi, quei suoi volti deformati, vicini per certi aspetti anche alla poetica surrealista, richiamano da vicino la maschera ancestrale ipotizzata da Nietzsche, quella che assorbe l’ultima “risata cosmica” e prepara, secondo Foucault, la morte dell’uomo, il quale ha già assistito alla morte di Dio e che adesso non riesce a rendersi ragione della propria solitudine. Politica e filosofia s’intrecciano nell’opera di Brus, testimone di un un’epoca di profondi cambiamenti sociali.
Da parte sua, il tedesco Thomas Palme (1967), è fra gli artisti contemporanei che più assiduamente hanno concentrata la propria indagine sulla problematica dell’Io all’interno di una società dominata dalla logica del consumo, della produzione e del profitto. Scomparsa, con i cambiamenti degli anni Sessanta e Settanta, la contrapposizione freudiana fra lecito e proibito (che si ritrova invece sullo sfondo delle opere di Schiele), Palme racconta un individuo in preda alla depressione in una società che richiede continui sforzi produttivi e d’immagine.
Nei suoi disegni solo all’apparenza pornografici, che toccano anche provocatoriamente la sfera religiosa, l’artista rappresenta un individuo contemporaneo martirizzato dalla logica del denaro e dell’immagine, due ossessioni che ne hanno causato una sorta di permanente depressione. Tanti, troppi, sono quelli che restano sul fondo di questa società materialista e crudele (non meno di quella in cui viveva Schiele cento anni fa), e l’individuo di Palme porta dentro di sé quella stanchezza di essere se stessi teorizzata dal filosofo Alain Ehrenberg in un suo celebre saggio.
In particolare, le sue rivisitazioni del Cristo Crocifisso e del martirio di San Sebastiano, sono chiari rimandi all’Ecce Homo di Nietzsche, che però adesso non riesce più a diventare “ciò che è”, impastoiato dai condizionamenti psicologici e materiali di una logica di vita che tende a spersonalizzare l’individuo convincendolo ad aderire a modelli standardizzati, e minandone il senso critico. Si tratta di modelli che istigano alla competizione, che distraggono l’Io dalla vera ricerca del sé, e lo trasformano in un ingranaggio del sistema economico. Il corpo nudo, come già in Schiele e Brus, è anche per Palme strumento di lotta; la dimensione pornografica si accende di rivendicazioni più sottili, ovvero è metafora di una riappropriazione del proprio corpo, nel tentativo di liberarsi dai condizionamenti di canoni estetici menzogneri.
Tre artisti, tre attenti indagatori dell’Io e delle battaglie che ha dovuto affrontare a cavallo di due secoli, tra conflitti su larga scala, prevaricazioni sociali e, in ultimo, la globalizzazione. Tre artisti non facili, accomunati dalla volontà di resistere e di lanciare messaggi per il risveglio delle coscienze.
Informazioni utili
Schiele-Brus-Palme
Leopold Museum, Museumsplatz 1, 1070 Vienna, Austria
Dal 3 marzo all’11 giugno 2018