La Corte Suprema indiana critica bruscamente il governo per non aver adeguatamente protetto il celebre monumento patrimonio mondiale dell’Unesco. E l’opposizione tuona: chi controlla i privati?
Con una pronuncia giunta giusto ieri, 1 maggio, la Corte Suprema indiana ha bruscamente criticato il governo per non aver adeguatamente protetto il Taj Mahal, il celebre monumento patrimonio mondiale dell’Unesco minacciato dall’inquinamento che ne ha determinato anche un cambiamento di colore. Ed i giudici della corte M.B. Lokur e Deepak Gupta hanno dato al governo del primo ministro Narendra Modi e al governo dello stato dell’Uttar Pradesh una settimana di tempo per rispondere. Un ultimatum che appare ora come un’indiretta risposta alle polemiche che già da settimane investono Modi in tema di gestione del patrimonio: dopo che il governo è stato accusato di tentare di privatizzare beni storici con un controverso schema che offre a società private di “adottare” dozzine di monumenti.
Il progetto “Adotta il patrimonio” prevede di “affittare” i monumenti e vedrà 95 siti storici presi in carico da entità private con un contratto quinquennale, già stipulato per l’iconico Forte Rosso di Delhi e per un altro forte nello stato meridionale dell’Andhra Pradesh, per un valore di 250 milioni di rupie (3,7 milioni di dollari). Ma le polemiche montano sul come verrà monitorata la gestione di questi siti: “Non c’è chiarezza sulla quantità di denaro che le società spenderanno per le strutture, e sulla destinazione de fondi generati dai biglietti rispetto all’importo del contratto“, ha affermato la storica e attivista del patrimonio culturale Rana Safvi. Ora l’intervento della Corte Suprema che sembra affermare: giù le mani dal Taj Mahal, pensiamo piuttosto a conservarlo al meglio. Il colore del marmo “stava diventando giallo, ora sembra essere verde e nero“, ha dichiarato un membro della corte.