A quiet passion, la vita di Emily Dickinson: una passione solo apparentemente tranquilla. Al cinema dal 14 giugno
A metà tra il sogno e l’incredibile monotonia della normalità: la vita di Emily Dickinson, in A quiet passion, viene dipinta così. La storia della poetessa è nota: un animo ribelle costretto –e non sempre capace- a convivere con i dettami morali del suo tempo, una vita piena di dispiaceri e di piccoli ma intensi momenti di gioia, emozioni condensate nei suoi scritti riconosciuti, poi, come capolavori della poesia.
Il film segue le gesta di Emily dall’adolescenza alla maturità: allontanatasi volontariamente dal collegio di Mount Holyoke, stanca delle regole rigide e della morale cristiana di cui sono permeate, vivrà tutta la sua esistenza nella casa paterna insieme ai suoi genitori e ai fratelli, con cui condivideva un attaccamento quasi morboso per la famiglia.
Emma Bell (The walking dead, Final destination 5) è una convincente giovane Emily, tanto indipendente negli ideali quanto incapace di separarsi dalla sua famiglia e dal suo ruolo di figlia: è nel focolare che la stessa, malgrado piccoli screzi, può essere veramente sé stessa e può scrivere i suoi versi in totale libertà con l’assenso del padre (Keith Carradine).In un vorticoso gioco di morphing, gli attori cedono il testimone ai loro corrispettivi “invecchiati”: tra loro, la protagonista assoluta della pellicola: Cynthia Nixon. È lei, l’indimenticabile Miranda Hobbes di Sex and the city, a offrirci la prova più convincente della sua intera carriera: nell’interpretare la poetessa americana riesce a veicolare tutta la sofferenza di un’artista incompresa ma convinta, fino all’ultimo respiro, della potenza dei propri lavori, ignorati (quando non disprezzati) da una società impregnata dal maschilismo.
Terence Davies, sceneggiatore e regista (Voci lontane… sempre presenti, Serenata alla luna), riesce nella missione più difficile per un biopic su una poetessa: inserire le liriche nel film, abbinandole a scene suggestive, sublimando l’atmosfera già delicata del film ed elevandola a un affresco dai colori ancora più vividi.
La rappresentazione della realtà americana degli inizi dell’Ottocento è schietta, realistica e la forza della sceneggiatura risiede proprio nella volontà di riportare sullo schermo le dinamiche dei tempi senza mitigarle o accomodarle ai valori o alle prospettive odierne.Un film “in costume” che, del genere, non ha quasi nulla: né il didascalismo né la volontà di edulcorare. Il regista riesce nell’intento di realizzare un’opera fuori dal tempo rispettando la natura squisitamente indomabile della protagonista.
Il film ci regala non pochi momenti brillanti: nella sceneggiatura elegante di Davies vediamo una Emily ironica, donna moderna e senza peli sulla lingua, un’icona femminista, almeno idealmente; i dialoghi con la sorella Vinnie e l’amica Vryling sono permeati di sarcasmo e irridono la società che le vorrebbe docili angeli del focolare.
Probabilmente, vista la sagacia delle stilettate, se ai tempi ci fosse stato Twitter (e se le battute imboccatele da Davis fossero state realmente pronunciate), la Dickinson sarebbe stata eletta icona del politicamente scorretto e seguita da milioni di utenti.
A quiet passion squarcia quella superficie che vorrebbe Emily Dickinson come l’emblema dell’America puritana di metà Ottocento, raccontando la brevissima vita di una donna appassionata, curiosa, con l’ambizione di cambiare il mondo e di scardinarne i capisaldi con la forza delle sole parole.