Tra le molte sorprese che Roma è in grado di regalare, ve ne è una, proprio nel suo centro, molto curiosa. Nel rione di Testaccio infatti, si trova l’ottavo colle cittadino, un’altura artificiale realizzata in epoca romana. Alto circa 50 metri e con una circonferenza di circa 1 chilometro, Monte Testaccio è anche detto dai romani Monte dei Cocci, in riferimento alle testae, i cocci che lo formano.
Testaccio infatti altro non era in epoca romana che il grande quartiere commerciale cittadino, dominato dall’importante struttura portuale dell’Emporium, presente lungo il Tevere, sulla sponda opposta a Porta Portese. Era qui che giungevano le navi romane colme di beni di importazione ed esportazione, merci che poi venivano stipate e conservate nei vicini magazzini per essere poi comodamente ridistribuite. Cosa fare quindi di quell’immenso carico di recipienti e contenitori utilizzati nei commerci che non potevano più essere riutilizzati e che anzi dovevano essere smaltiti?
Furono sistematicamente scaricati ed accumulati, dopo essere stati svuotati, uno sull’altro, fino a formare un vero e proprio monte: un colle artificiale che è quindi un’immensa discarica di cocci! Le innumerevoli anfore, non essendo smaltate al loro interno, non potevano essere riutilizzate come contenitori per altri carichi, potendo quindi essere usate una sola volta. Molte anfore venivano riciclate come materiale da costruzione, le altre venivano frantumate e accatastate in un enorme cumulo che nel corso dei secoli si è andato ad innalzare fino a divenire una vera e propria collinetta!
L’attento studio del materiale rinvenuto mostra che l’attività di scarico venne portata avanti dal I secolo d.C. fino almeno alla metà del III secolo d.C. La maggior parte dei contenitori rinvenuti dagli archeologi sono anfore olearie spagnole provenienti in particolare dalla Betica (attuale Andalusia): a causa dei residui di olio al loro interno, non erano più riutilizzabili. Il problema dello smaltimento rapido ed economico delle anfore, nel rispetto delle norme igieniche, fu risolto con la creazione di questa discarica.
Qui i frammenti furono accatastati con la massima economia di spazio e con la sola disposizione di calce che, destinata ad eliminare gli inconvenienti causati dalla decomposizione dell’olio, ha rappresentato anche un ottimo elemento di coesione e di stabilità per il monte nel tempo, giungendo quasi intatto fino ai nostri giorni. Seguendo quella che era la praticità costruttiva dell’epoca, i romani costruirono anche una rampa e due stradine, per poter meglio accatastare il materiale di scarico, in modo da poter salire sempre più in alto con i carri ricolmi di cocci e di anfore frammentate.
Gli archeologi hanno inoltre notato, studiando questo immenso materiale ceramico, che sulle anse di molte anfore era impresso il marchio di fabbrica mentre altre presentavano delle scritte a pennello o a calamo – dette tituli picti – con preziose informazioni, quali il nome dell’esportatore, il loro contenuto, i controlli eseguiti durante il viaggio e ancora la data consolare.
Passeggiando accanto al Monte Testaccio, impossibile è non notare la quantità di locali, trattorie e ristoranti: il rione infatti è oggi uno dei quartieri più vivi della movida romana. Ma anche questa tradizione è assai antica. Cessata la funzione di vera e propria discarica, il Monte dei Cocci divenne luogo di festa: è qui infatti che si svolgevano gli antichi giochi pubblici detti ludus Testacie – una sorta di corrida – e ancora le celebrazioni ottocentesche a tutti note come “ottobrate romane”, festeggiamenti che chiudevano il periodo della vendemmia!
Approfondimento a cura di L’Asino d’Oro Associazione Culturale che organizza visite guidate e passeggiate per andare alla scoperta di Roma con archeologi e guide turistiche abilitate della Provincia.