Un ritratto del padrone di casa: Luigi Magnani Rocca (1906-1984), uomo dal multiforme ingegno
“Il gusto per la pittura, per la musica, per la poesia nacque in me non disgiunto. Questo giustifica anche la varietà nei miei interessi culturali e del mio lavoro”, confidava Luigi Magnani allo storico dell’arte Carlo Bertelli.
Uno degli ultimi mecenati e uno dei primi divulgatori culturali. Umanista e musicologo fu uno dei primi che comprese l’importanza delle interdisciplinarietà necessaria nell’approccio approfondito con la cultura. All’arte, alla musica, alla letteratura Magnani dedicherà tutta la vita. Sarà una delle personalità più eclettiche del XX secolo; attraverso l’insegnamento universitario, la composizione, le conferenze, gli scritti sarà l’espressione di una partecipazione sensibile che tenderà a tenere in equilibrio le ragioni dell’intelletto e del cuore.
Arrivare alla villa e godere della sua ospitalità vuol dire riconciliarsi con il mondo tra natura, arte e vita, così come nelle intenzioni del fondatore. Luigi Magnani coltivò questo sogno prima per sé e poi per renderlo disponibile a coloro che sarebbero arrivati dopo non come visitatori ma come ospiti. Chi lo ha conosciuto ricorda il suo rapporto con le opere d’arte come se fossero persone, in un colloquiare costante. Le amava tutte, lui, le opere d’arte, antiche o contemporanee. Quelle che possedeva e quelle che non avrebbe mai posseduto fisicamente ma che così intimamente aveva compreso e assimilato tanto da averle fatte ugualmente sue.
Arte e musica dialogano così negli ambienti della villa come nei suoi eruditi scritti; e tra queste stanze la musica trova spesso modo di essere evocata come soggetto d’arte, nel De Pisis, nel Severini e anche in Morandi. Morandi in particolare, eseguirà una Natura Morta con strumenti musicali proprio su commissione del suo amico e padrone di casa.
Una grande coppa in malachite ci accoglie all’entrata della villa. La coppa, eseguita per lo zar Alessandro I e da questi donata a Napoleone I, ci ricorda lo sfarzo, la preziosità e il gusto regale oltre all’importanza storica in quanto testimone del breve momento di riavvicinamento tra Russia e Francia nel 1807.
Oltre, di stanza in stanza, ci si trova come a passeggiare dentro ad un libro di storia dell’arte, quasi tra le pagine di quell’Argan amico di Luigi Magnani e del gruppo di intellettuali che negli anni ’50 e ’60 hanno contribuito ad emancipare e evolvere il gusto artistico della Italia di quei tempi, un po’ provinciale e arretrata.
Più che di fronte ad una collezione di quadri ci si ritrova in una famiglia di artisti e correnti artistiche in acccordo con il progetto del padrone di casa. Luigi Magnani non amava essere considerato un collezionista, era guidato nella raccolta di opere solo dalla affinità elettiva con l’arte in tutte le declinazioni dei suoi significati più profondi: amava dire che i capolavori sono come angeli che si posano sulle pareti.
Amava cogliere gli stretti rapporti esistenti tra le arti, la musica e la letteratura, abbracciando tutta la famiglia delle muse. E fu proprio la musa Tersicore del Canova una delle ultime opere a raggingere questa dimora quando il Magnani era ancora in vita. Nella villa dei capolavori, Magnani si ritirò gli ultimi anni. Così come negli studioli del Rinascimento il signore si cirondava dei ritratti dei grandi del passato per trascorrere con loro ore di meditazione e studio, così il Magnani nel suo museo immaginato, si ritirò in intimità con i suoi angeli, i quadri dei grandi maestri.
Al piano terra ci troviamo quindi in compagnia di Filippo Lippi e del Ghirlandaio, di Tiziano e Dürer, fino ad una delle opera chiave della poetica del Goya “La famiglia dell’infante don Luis”. La grande tela di Goya del 1783 arriva qui nel 1974, proveniente dal palazzo fiorentino dei Ruspoli, a raccontare un’intimità lontana dalla ritrattistica ufficiale e modernamente informale, una immagine più simile a una fotografia scattata in una sera qualunque con il padrone che gioca a carte, domestici, cane, bambini e padrona di casa spettinata.
Al primo piano troviamo la famosa collezione di 50 opere di Morandi, i suoi paesi e le sue famose bottiglie. Ed è attraverso la geometria e la forma di questi oggetti che l’artista ricercava la sintesi della realtà. Diceva Morandi che nulla è più astratto del reale. E dai chiaroscuri degli oggetti dipinti possiamo percepire l’umore che l’artista riversava sulla tela. Morandi era amico del padrone di casa e possiamo immaginarlo quando, durante le feste di Natale o Pasqua, si recava a trovare l’amico, portando magari in dono una sua tela in cambio della ricca ospitalità.
E ancora, in queste stanze del piano superiore, possiamo ammirare un Severini con le sue tele che sprigionano la smania di novità propria della futurismo ed un importante De Chirico con il suo tema della partenza. Nel 1984, pochi mesi prima di morire, Luigi Magnani rilascia un’intervista a Carlo Bertelli per Il Giornale dell’Arte, Torino, dove emerge la tutta la modernità ma anche il rigore di pensiero del padrone di casa:
“Lei è stato testimone, pure nella sua solitudine, del recente cambiamento dei costumi e dei rapporti tra la società e l’opera d’arte. Qual è il suo giudizio sul pubblico attuale dell’arte?”
“Se è aumentato molto l’interesse per l’opera d’arte, in genere non c’è da illudersi che se ne sia raggiunta una migliore comprensione. È un fenomeno più di espansione che di approfondimento che può produrre equivoci e molta presunzione nel giudizio. Basta la visita a una mostra per accertarsene.”
Informazioni utili
Fondazione Magnani Rocca
Via Fondazione Magnani Rocca, 4, 43029 Mamiano, Traversetolo PR