Black Klansman, un poliziotto nero nel cuore razzista degli Stati Uniti, sotto copertura contro il Ku Klux Klan
BLACKkKLANSMAN è il nuovo film di Spike Lee (in sala dal 27 settembre) e all’ultimo Festival di Cannes, dove è stato presentato in concorso, ha vinto il Gran premio speciale della giuria. La storia, ambientata negli anni ’70, è quella di un poliziotto nero, Ron Stallworth, e della sua missione sotto copertura come infiltrato nel Ku Klux Klan, il tempio dell’odio razziale. Una storia assurda, verrebbe da dire, pare quasi la sceneggiatura di un film dei Coen, invece è una storia vera.
È lo stesso Ron Stallworth, primo detective nero a entrate nel Dipartimento di polizia di Colorado Springs, a raccontarla nel libro che da cui è tratto il film di Spike Lee (Lola Darling, La 25ª ora, Inside Man): Black Klansman (edito in Italia da tre60).
Tra i vari incarichi affidati a Ron Stallworth, allora un giovane poliziotto nero in un dipartimento “bianco come un lenzuolo”, c’era quello di leggere i giornali locali e segnalare “attività insolite e potenzialmente pericolose”. E con sorpresa un giorno, tra gli annunci, Ron trova il seguente: “Ku Klux Klan. Per informazioni contattare: casella postale 4771, Security, Colorado”. Decide quindi di rispondere inviando un messaggio, sostenendo di essere un bianco difensore della purezza razziale interessato a sapere come affiliarsi al KKK. Da lì prende il via la storia di questa surreale indagine sotto copertura.
Quella di Ron Stallworth è una narrazione precisa, attenta e ben documentata, unisce l’efficacia di un rapporto di polizia al ritmo e al tono di un romanzo (a volte ironico, a volte nostalgico e a volte anche, perché no, da sbruffone) e nel descrivere la sua missione non si risparmia nel sottolineare il tono surreale di questa pagina di storia americana che sembra una grande farsa.
Ron Stallworth nel suo libro ripercorre con rigore gli avvenimenti attorno a quella missione e spiega in maniera efficace il clima e quel complesso milieu nel quale “convivevano” Pantere nere, Suprematisti per la razza ariana, comitati, dipartimenti, associazioni e simpatizzanti dall’una o dell’altra fazione. Erano gli anni ’70, per gli Stati Uniti un’epoca di enorme agitazione politica e civile. Come in Italia, d’altra parte. Terrorismo domestico e attentati dinamitardi come espressione di protesta politica erano all’ordine del giorno.
Il nuovo Klan, come spiega Stallworth, (ri)era nato nel 1954 (dopo il secondo, rifondato nel 1915 – il primo era stato dichiarato fuorilegge nel 1871 dal Presidente Grant, sebbene una decina di anni dopo quella legge venne dichiarata incostituzionale, sopravvivendo ancora oggi in una forma corretta e spesso interpretata in maniera ambigua), quando aveva deciso di dissociare il suo nome dalla violenza (dopo il grande scandalo che vide nel 1925 David Stephenson, Grande Dragone dell’Indiana, colpevole dell’efferato omicidio di Madge Oberholtzer), puntando a un percorso politico per infiltrarsi attivamente nelle cariche istituzionale (prendendo a esempio proprio il movimento del Black Power).
Nel racconto di Ron Stallworth è centrale la figura di David Duke che, con il suo approccio, ha modernizzato il Klan e la percezione di questo all’interno dei media. L’ha, come riporta l’autore, “modernizzato”. Evitando di indossare la tunica del Klan in pubblico, evitando di rivolgersi ai neri con insulti e termini dispregiativi e incoraggiando i suoi seguaci a fare altrettanto. Facendo questo lavoro di ingentilimento sull’immagine (ma non sui contenuti!), Duke ha traghettato il KKK all’interno della cultura ufficiale, rendendolo pubblicamente accettabile. In politica si candidò innumerevoli volte, vincendo praticamente mai (passando tra l’altro dal Partito populista a quello Democratico e poi ancora a quello Repubblicano). Tutte le sue campagne però costituirono un’ampia piattaforma pubblica per illustrare la sua filosofia e la sua ideologia razzista.
Stallworth scopre poi, nel corso della sua indagine, che la storia del Klan nel Colorado era una storia molto più radicata e continuativa di quello che potesse pensare. L’influenza e la presenza del gruppo in Colorado, già nella seconda metà degli anni ’20, erano così profonde che alcune pubblicazioni nazionali cominciarono a riferirsi allo stato scrivendo Kolorado, con la K.
Benjamin Stapleton, una delle alte cariche del Klan, ad esempio, fu sindaco eletto di Denver dal 1923 al 1947 e fu il maggior sostenitore del progetto dal quale poi prese vita l’Aeroporto di Denver che nel 1944 venne ribattezzato con il suo nome: Stapleton International Airport. Un aeroporto dedicato a uno degli uomini di più alto grado del Ku Klux Klan, fa pensare.
Come fa pensare che tutto quanto raccontato in Black Klansman non è semplicemente storia passata, ma risulta, a conti fatti, l’antefatto della situazione socio politica odierna: #BlackLivesMatter, il muro di Trump e i fatti di Charlottesville, solo per citare qualche esempio tra i più in vista.
Black Klansman
Pagine: 200
Titolo originale: Black Klansman
Traduzione: Vincenzo Perna
Prezzo: 16,00 € – eBook: 7,99 €
In libreria dal 20 settembre 2018