A 120 anni dalla nascita, Madrid celebra per la prima volta in un suo spazio espositivo Tamara de Lempicka, la raffinata interprete del modernismo femminista nell’arte del Novecento. Circa 200 opere nelle prestigiose sale di Palacio de Gaviria, fino al 24 febbraio 2019.
Madrid. «Cerco di vivere e creare in modo tale da imprimere, sia alla mia vita, sia alle mio opere, il marchio dei tempi moderni». Lo scrisse Tamara Rosalia Gurwik (1898-1980), meglio nota come Tamara de Lempicka, fra le più attente e sensibili figure che, già nel primo Novecento, abbiano raccontata la nascita di una nuova femminilità, che sarebbe poi sfociata nei movimenti di genere degli anni Settanta. Prima ancora che estetica, la modernità di Tamara è concettuale, grazie alla sua capacità di interpretare i tempi, nello specifico intuendo l’imminente cambiamento del ruolo della donna all’interno della società; ne comprese e ne esaltò, nei suoi dipinti, il lato glamour e sensuale, in omaggio agli ultimi bagliori della Belle Époque dai quali fu in tempo a farsi travolgere e affascinare.
Dalla natia Varsavia a causa della separazione dei genitori, conobbe ben presto la vita nomade al seguito della nonna materna, che nel 1907 la portò prima in Italia e poi in Francia, dove sembra abbia appresi i primi rudimenti della pittura. La sua formazione proseguì in giro per l’Europa, prima presso una scuola di Losanna, in Svizzera, e poi presso il prestigioso collegio polacco di Rydzyna. Tornata in Russia nel 1916, fugge due anni dopo, a seguito della Rivoluzione d’Ottobre, e sceglie di stabilirsi a Parigi, ancora indiscussa capitale mondiale della cultura.
Esordì come illustratrice per riviste di moda quali L’illustration de mode e Feminine, e con la presenza al Salone d’Automne del 1922, inaugurò la sua carriera artistica. Esteticamente, guarda all’Art Nouveau e all’Avanguardia Cubista; concettualmente, invece, la sua dimensione artistica è riconducibile all’assidua ricerca di una sua personale iconografia della modernità. Una modernità non facile da sintetizzare sulla tela, a causa dei numerosi e tumultuosi cambiamenti che interessarono la società del primo Novecento, ma la cui chiave di volta è comunque la donna.
Incarnando lei stessa una figura femminile dalla dandistica esistenza sopra le righe, s’inserisce in un sentiero che a suo tempo fu tracciato da figure quali, fra le altre, Lavina Fontana, Elisabetta Sirani, Artemisia Gentileschi, Maria Hadfield Cosway, Berthe Morisot, e la contemporanea Frida Kahlo; donne il cui amore per l’arte non ha risparmiate loro umiliazioni e biasimo, da parte di una società ancora dominata dal modello patriarcale. Che però Tamara ha tenacemente combattuto, attraverso ritratti che esprimono una femminilità potente e leggiadra insieme, ispirata anche dalla dichiarata bisessualità dell’artista, che fa luce, così, sulla nuova sensibilità sessuale che caratterizza il Novecento, e che anche gli esponenti della Neue Sachlicheit nella Germania weimeriana, avevano documentato nel corso degli anni Venti.
Da un lato, una figura femminile mondana, fasciata in elegantissimi e fruscianti abiti alla moda, frequentatrice di club dove trascorrere notti folli bagnate di gin. Le donne di Tamara sono disinibite e sensuali, ballano il charleston e il tango, hanno buon gusto nel vestire. Come lei stessa, del resto, che si fece disegnare abiti (alcuni esposti in mostra) dagli stilisti più in voga dell’epoca, come Schiaparelli, Vionnet o Patou. E il suo stile pittorico si rifà alla fotografia di moda, al cinema, portando nella pittura un’indiscussa ventata di modernità e mondanità. Dall’altro lato, le opere della Lempicka sono caleidoscopiche: vi si ritrova la dolcezza materna, commovente nei ritratti della figlia Kizette, uno in particolare in abito rosa, vicino per stile e sensibilità al Picasso dei periodi Blu e Rosa (ma la coincidenza cromatica è solo coincidenza, appunto).
Vi si ritrova la donna intesa come soggetto protagonista della nuova società del primo dopoguerra, una figura modana, indipendente, con i suoi interessi e la sua voglia di vivere. La modernità di Tamara sta anche nell’emancipazione sessuale di alcune sue tele, a cominciare dalla Così come La bella Rafaëla (1927), è un raffinato ritratto nudo di una modella che ebbe per amante, ispirato al discusso La nascita di Venere di Alexandre Cabanel, ma la plasticità è comunque di riferimento cubista. Un nudo, questo, colto nella sua quotidianità di donna fiera del proprio corpo, senza allegorie e ostentazioni.
Tamara fu un’amazzone che cavalcava la vita alla stregua di personaggi come Elsa von Freytag-Loringhoven, Djuna Barnes, Zelda Fitzgerald. Affascinata e abbagliata dalle luci della modernità americana. La toccherà con mano nel 1940, quando lascia l’Europa ormai sconvolta dalla guerra, e anche qui continuò l’attività pittorica, regalando capolavori intrisi di femminilità ed eleganza. Tratto costante di molte sue opere, la raffinata cornice Art Déco, con l’inserimento di mobili, oggetti, capi di vestiario, che calano i personaggi nella loro epoca.
In alcune sue opere, la rilettura dello spirito cattolico è assai ardita: l’intensità sensuale dell’Estasi di Santa Teresa, che si ispira ma supera la scultura barocca del Bernini, della quale Tamara riprende la voluttà dell’espressione del volto della santa, e che avvolge in un intenso sapore di dramma, vicino a El Greco e Goya, dimostrando la conoscenza dell’arte iberica che l’artista ebbe modo di fare da vicino negli anni Trenta, durante un viaggio in Spagna.
La pittura di Tamara, tuttavia, non fu esclusivamente al femminile. Frequentò infatti anche il genere della natura morta, ispirandosi al Quattrocento italiano e al Seicento fiammingo, così come al Realismo Magico che anche in Sudamerica ebbe i suoi esponenti, in particolare Frida Kahlo. E rimase profondamente toccata dai disordini in Spagna, prodromo della guerra civile, che le ispirò quello che può essere considerato l’anticipazione di Guernica: I rifugiati, del 1931, denso di partecipazione emotiva a un dramma, quello di chi lascia la propria casa e la propria terra, che anche lei aveva vissuto in prima persona.
Soltanto un qualunquismo tutto italiano, liquidò la sua opera, in occasione della personale romana del 1957, come “roba da antiquariato”, non riuscendo a cogliere la profondità della modernizzazione operata sulle lezioni artistiche del passato, e l’importanza sociale di opere che ridiscutono il ruolo della donna nella società. Ancora oggi, a quasi quarant’anni dalla scomparsa, non si può non ricordare ricordare Tamara De Lempicka come la immortalò nel 1933 Madama D’Ora (raffinatissima fotografa à la page della Vienna modernista poi trasferitasi a Parigi), in un sensuale tubino di Marcel Rochas, irraggiungibile icona d’eleganza, dallo splendido volto di dea, e l’elegantissimo portamento.
Informazioni utili
Tamara De Lempicka
Fino al 24 febbraio 2019
Palacio de Gaviria, Calle del Arenal, 9, 28013 Madrid