Un Capolavoro per Milano, l’appuntamento annuale che il Museo Diocesano porta avanti dal 2001, quest’anno vede protagonista l’Adorazione dei Magi, pala d’altare realizzata da Paolo Veronese tra il 1573 e il 1575. Lo scopo dell’iniziativa, giunta alla XI edizione, è quello di presentare, in occasione dell’Avvento, un’opera dal forte significato sia dal punto di vista artistico che religioso. Fino al 20 gennaio 2019. Per l’occasione, grazie al prestito del Comune, la grande pala d’altare del maestro veneto si è spostata dalla chiesa di Santa Corona di Vicenza, luogo per cui era stata concepita più di 400 anni fa. All’epoca della sua realizzazione, Veronese era già conosciuto ed apprezzato in tutto il territorio veneto, dove lavorava sia per importanti committenti privati che per grandi opere pubbliche.
Il tema dell’Adorazione crea un parallelo sia con la scorsa edizione, dove venne proposta un’opera di Albrecht Dürer con lo stesso soggetto, sia con la realtà stessa del Museo, poiché nell’adiacente Basilica di Sant’Eustorgio sono conservate le reliquie dei Magi.
Pittore di formazione manierista, Veronese entra in contatto con la scuola veneta a metà degli anni cinquanta, traendo spunto soprattutto dalla lezione di Tiziano. Da queste esperienze derivano il suo uso vivace di colori accesi e la luce vibrante che permea i suoi quadri e ne modella le figure, monumentali ma al tempo stesso delicate. Oltre ad essere stato un grande maestro del Rinascimento, è importante riconoscere al pittore il grande merito di essere stato un punto di riferimento per gli artisti suoi concittadini che, prima di recarsi a Venezia (tappa obbligata all’epoca), avevano la fortuna di potersi confrontare con un affermato maestro locale.
Il corridoio che precede la sala dove l’opera è esposta è decorato con tendaggi i cui colori riprendono le vesti dei soggetti raffigurati: il committente, Marcantonio Cogollo, era infatti un ricco mercante di stoffe vicentino, e il quadro voleva essere, tra le altre cose, una sorta di campionario dei suoi tessuti. I soggetti sono inquadrati nell’architettura solenne di un tempio palladiano, che, come spiega la curatrice Nadia Righi, era all’epoca un simbolo adottato per rappresentare la caduta del mondo pagano, sostituito dalla nuova religione cristiana, simboleggiata dalla capanna in legno che cinge la colonna.
Com’è tipico di Veronese, la composizione è calata in un ambiente quotidiano di festa, dove però la dimensione profana non va a intaccare quella sacra: ogni gesto, ogni sguardo è teso ad accogliere la nuova verità, che ha in Cristo il suo punto di inizio.