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Ghostland, il nuovo film di Pascal Laugier. La recensione

La casa delle bambole – Ghostland

La Casa delle Bambole – Ghostland: prigionia e terrore nel nuovo film di Pascal Laugier

Una madre e le sue figlie adolescenti attraversano a bordo di una vecchia automobile larghe distese di campi spogli su cui grava una nebbia densa e pesante, un paesaggio a metà fra le pianure metafisiche di Fargo e la Terra Desolata di T.S. Eliot, che ben si accorda col racconto che sta leggendo ad alta voce una delle ragazze, gotico e claustrofobico a richiamare lo stile di H. P. Lovecraft,. Si apre così una delle più disturbanti visioni dell’anno La casa delle bambole – Ghostland di Pascal Laugier – in sala dal 6 dicembre.

Pauline (Mylène Farmer) e le figlie adolescenti Beth (Emilia Jones), introversa e amante della scrittura dell’orrore, e Vera (Taylor Hickson) più estroversa ma non meno fragile, sono in viaggio per trasferirsi nella casa di una vecchia zia. Lungo la strada le tre donne incontrano uno strano camioncino dei gelati che le supera di gran carriera, a bordo delle scure silhouette che fan ciao-ciao con la manina, come se non bastasse alla locale stazione di servizio leggeranno sui giornali locali di un gruppo di serial killer che introdotto in casa, uccide i genitori e sevizia alla morte gli eventuali figli presenti.

La casa della zia si rivelerà essere una orripilante wunderkammer, sovraffollata di bambole, bambolotti, scrigni segreti, teche degne della collezione di un entomologo e altre gotiche amenità. Mentre Beth, come la Carrie di Stephen King è sorpresa dalle sue prime mestruazioni, due figure s’introducono in casa: un’alta ombra dalle fattezze femminili e un uomo imponente dalle movenze ferine. L’home invasion è tremenda ma le tre donne sembrano averla vinta sugli aggressori. Un salto temporale ci mostra Beth adulta, autrice horror di successo, richiamata nella vecchia casa delle bambole da una telefonata di Vera, l’unica che sembra continuare a pagare il prezzo di quella terribile notte. Mentre Beth torna a casa e ritrova la madre e la sorella, anche gli orrori di quella notte tornano a martoriarla.

La casa delle bambole – Ghostland non possiede la portata rivoluzionaria di Martyrs (2008) ma è comunque una visione disturbante fino all’ultimo fotogramma. Ghostland condivide col suo predecessore più di uno stilema: l’home invasion, la percezione e il punto di vista come elemento scatenante l’orrore, la prigionia e la capacità creativa come unica fonte di fuga. Vera all’inizio del film si chiede se siano arrivate alla casa di Rob Zombie, ma quella che sta per accoglierle non è la giostra lisergica de La Casa dei 1000 corpi, con i suoi continui e sovraesposti riferimenti alla pop culture, ma un antro disturbante, frutto di un disagio mentale e monomaniaco, più vicino alla narrativa di H.P. Lovecraft, autore amato da Beth e protagonista di una delle scene più belle del film.

Ghostland, come già Martyrs, vede al centro delle brutali torture e menomazioni – qui per opera di due degeneri devil’s rejects – ancora una volta delle giovani donne, come negli slasher del canone classico la violenza sembra scaturire dalla maturità sessuale che qui però non è quella pruriginosa e campy degli slasher anni Ottanta ma quella inaspettata, fragile e inconsapevole di chi non è ancora pronto ad affrontare l’età adulta e i suoi orrori.La pellicola è un’ode alla capacità salvifica dell’immaginazione. Beth, già abituata a rifugiarsi nel suo universo gotico, trova un’unica via di fuga alla perpetua tortura: la creazione di un mondo tutto per sé, dove gli orrori sono solo echi dell’inconscio, fugaci visioni ma anche fili di Arianna che riportano alla brutale realtà.

Pascal Laugier con Alexandre Aja è l’artefice della rivoluzione francese dell’horror contemporaneo ed esponente del New French Extremity, movimento trasgressivo e libertario che ha scosso gli spettatori (pensiamo a Leos Carax e Gaspar Noé) ma con La casa delle bambole – Ghostland tenta una forma di equilibrio che possa conciliare la sua verve sperimentale con le dinamiche del box-office. Obiettivo che oggi sembra raggiunto, grazie anche ad alcuni momenti di sottile ironia, molto più che con il precedente I Bambini di Cold Rock.

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