È al cinema Il primo re, il film con Alessandro Borghi sulle origini di Roma. La recensione
I fratelli Romolo e Remo, travolti dall’esondazione del Tevere, sono catturati dalle genti di Alba e costretti a battersi durante dei riti sacri. Riusciti a liberarsi insieme ad altri schiavi e a una vestale iniziano una lunga erranza. Il gruppo, per evitare di essere rintracciato, sfida la superstizione avventurandosi nella foresta, dove Remo mostra il suo valore, mentre Romolo, ferito, può fare ben poco. Quando la vestale rivela a Remo il destino di re di uno dei due fratelli, lui decide di sfidare il volere del dio.
Con un budget abbastanza importante (definito come vero e proprio kolossal all’italiana), Il primo re di Matteo Rovere (Veloce come il vento, Gli sfiorati) si vanta di avere un’ambientazione il più possibile vicina a quella storica (sono stati consultati studiosi e archeologi) ma la vita quotidiana nell’antichità è mostrata come una serie di combattimenti e squartamenti, con immagini al ralenti e riprese aeree, e una musica degna dei duelli di Pirati dei Caraibi. La recitazione e i dialoghi, nonostante gli evidenti sforzi di Alessandro Borghi (Sulla mia pelle, Napoli velata), sono spesso piatti, in uno pseudo-latino arcaico che sembra funzionale a camuffare i vuoti espressivi. Mancano personaggi secondari che diano spessore alla storia e la caratterizzino. Dietro la volontà di rielaborare modelli come Apocalypto di Mel Gibson o i primi episodi della serie Vikings resta l’incapacità estetica e artistica di ricreare un mondo coerente e interessante legato alle civiltà pre-romane in Italia. Non aiuta la ridondanza (per non dire noia) della storia, incapace di decollare e trovare un vero punto di svolta nella “scoperta” regalità di Remo. Il film si pone da subito come un action movie (anche se in ambito arcaico), con un uso pervasivo del sonoro e un montaggio frenetico, ma ha una narrazione scontata e talvolta ripetitiva: la sceneggiatura pecca di immaginazione e di tensione drammatica, tralasciando ogni riferimento all’infanzia dei due fratelli e non riuscendo a elevarsi a vero racconto epico.
Il rapporto col sacro e coi rituali dell’antichità viene trasfigurato in un’antitesi proto-illuministica, in un contrasto fra monoteismo e ateismo che nulla ha a che vedere con le civiltà pre-romane. Ci si chiede poi quale sia la funzione di certe scene dove la gratuità della violenza mostrata sembra soltanto un’operazione di pura spettacolarizzazione voyeuristica e di gusto del macabro. La fotografia di Daniele Ciprì, pur avendo sicuramente dei momenti di alta resa con l’utilizzo di luci naturali, non riesce a elevare lo stile, costruito basandosi in primis sui miti più conosciuti e filmati della tradizione nordica e anglosassone.
Nonostante le tante aspettative, Il primo re non entusiasma: in parte osannato dalla critica in quanto prima produzione italiana di questo tipo (almeno in tempi recenti) apporta, in realtà, poche novità al genere. Dall’idea interessante di riscoprire e rileggere il passato mitico della civiltà romana è nato un film fin troppo banale e scontato, poco interessato a trattare il tema della storia e del mito, usandolo soltanto come ennesimo motivo di spettacolo. Il contrario di ciò che in anni meno recenti hanno proposto in Italia registi come Pasolini e Monicelli, con film sull’origine dei miti e sulla nostra storia collettiva, con tutt’altri spunti di riflessione ed esiti espressivi.
L’importanza che può avere in Italia in ambito prettamente commerciale e industriale un’operazione di questo tipo non basta a far di questo film un’opera indispensabile, ma piuttosto un ennesimo tentativo mancato del nostro cinema di fare davvero i conti con la sua storia e i suoi miti, recenti o antichissimi che siano.