“Sakeya”a Milano, una delle più grandi cantine del sake in Europa
Le prime testimonianze storiche sul sake, e stiamo parlando di documenti, risalgono al III secolo d.C.: il testo è di storia cinese, le “Cronache di Wei”, in cui viene descritta l’usanza giapponese di danzare sorseggiando una bevanda alcolica a base di riso. Probabile che il sake sia nato molto prima, ma è implicito che parliamo come minimo di duemila anni di tradizione, che attraversa i secoli per arrivare ai giorni nostri, all’Europa, a Milano e … al Vinitaly di Verona.
È di questi giorni, infatti, la presentazione di una piccola batteria di sake presso “Sakeya”, il ristorante giapponese famoso per essere una delle più grandi cantine del sake in Europa, a Milano in via Cesare da Sesto (zona Sant’ Agostino). A guidare la degustazione, pochi giorni prima di trasferirsi a Verona per promuovere la cultura del sake al Vinitaly (7 – 10 Aprile), Lorenzo Ferraboschi e Maiko Takashima, titolari della società d’import-export Sake Company.
I sake assaggiati sono Masumi Nagano, Hatsumago Densho Kimoto, Inatahonten Ikus, Azumarikishi Uroko, Tarue Taruzake silver, e rappresentano un campione piuttosto rappresentativo di quel che il riso fermentato può offrire: ma come prima cosa è necessario ripassare i “fondamentali”, e così ci è stato ricordato che, per l’appunto, non si tratta di un distillato (l’aspetto trasparente potrebbe ingannare). Lo chiamano vino di riso, e a ben vedere qualche vaga somiglianza c’è visto che il cereale, levigato per eliminare le parti più esterne, viene lasciato in ammollo in acqua e poi cotto al vapore. A questo punto si aggiunge una muffa (Aspergillus oryzae), per saccarificare gli amidi del riso, e dopo la trasformazione ancora acqua e fermenti, per convertire gli zuccheri in alcol. Dopo un ulteriore periodo di fermentazione, variabile da produttore a produttore, il composto viene pressato, filtrato e lasciato riposare per alcune settimane o mesi, prima di essere pastorizzato (quasi sempre) e infine imbottigliato. Il tenore alcolico in genere varia tra i 13 e i 17 gradi, ma Lorenzo Ferraboschi giura di averne assaggiati anche di 22 gradi: più o meno una rarità.
“Di questa bevanda millenaria,” afferma Ferraboschi, “è necessario sapere un po’ di più: vale per tutti quanti, non solo per i cosiddetti ‘esperti’, visto che è ormai l’Italia il primo importatore in Europa, avendo superato per volumi il Regno Unito. Se ciò è accaduto, è anche grazie alla’opera di divulgazione della Sake Sommelier Association, di cui sono il delegato per l’Italia.”
Ferraboschi, i prossimi traguardi?
“Il sake sarà presente a Vinitaly con 8 stand, di cui 5 firmati proprio da Sake Company e 3 di altri protagonisti come Firenze Sake, Union Trade e Jfc. Verranno organizzati workshop per spiegare che cos’è davvero questo prodotto a un pubblico che non ne conosce ancora bene le caratteristiche: molti, ad esempio, pensano che vada bevuto sempre caldo, e invece ci sono numerosi modi per degustarlo. Specialmente in abbinamento ai cibi, perché è questa, storicamente, la sua funzione: valorizzare il sapore di quello che si sta mangiando, essendo invece molto più rara l’usanza di farsi un bicchierino a fine pasto, come bevanda da meditazione. La Sake Company, in occasione del Vinitaly, ha anche organizzato una cena con i produttori giapponesi presso Villa CàNova e un tasting di 4 sake, introdotto da una breve presentazione didattica.”
In pochi anni, praticamente a partire da Expo 2015, la Sake Company ha conquistato il suo spazio in Italia e in Europa, ed ora ospita nel suo catalogo oltre 100 referenze di sake che provengono dalla maggior parte delle 47 prefetture del Giappone. Prodotti di alta qualità, per lo più artigianali, che seguono processi manuali e lavorazioni legate alla stagionalità ed alla raccolta del riso. La scelta è vastissima: i più classici e le etichette riserva, gli spumantizzati e gli invecchiati, gli affinati in legno di cedro, il famoso sake torbido ed altro ancora. Una grande ricchezza di note, profumi, gusti, con varie modalità di degustazione: fredda, a temperatura ambiente o calda per una maggiore esaltazione del corpo e degli aromi. “Ma è essenziale ricordare”, puntualizza Ferraboschi, “che a pranzo o a cena il sake non si beve solo caldo, e va invece servito alla stessa temperatura del piatto: piatto freddo, sake freddo, piatto caldo, sake caldo.”
Il viaggio storico e geografico del sake, continua, dunque, grazie a realtà come la Sake Company e la Sake Sommelier Association (SSA), che anche al Vinitaly di Verona stanno promuovendo una bevanda e una cultura in grado di conquistare il cuore di milioni di buongustai, italiani ed europei.