Immaginate di essere nati nel 1978, crescere a Brindisi nel corso degli anni ’80, avere nell’animo un forte desiderio di comunicare e scambiare opinioni per confrontarsi sui temi della vita e dell’arte; non trovare un terreno fertile e appagante, acquisire consapevolezza di estraneità per quel luogo e per quelle persone, guardare il proprio orizzonte come un confine da scavalcare per salvarsi dalla limitatezza mentale, partire giovanissimi per soddisfare quel bisogno interiore di cercare la propria identità.
Tutto nasce proprio da lì, da quell’ambiente sociale dove la maggior parte dei bambini sognano solo di fare i calciatori e molti adulti facevano i contrabbandieri di sigarette per sopravvivere.
In quest’ambito cresce il disagio di Andrea che viene escluso “naturalmente” dal contesto preadolescenziale. Non avendo argomenti di dialogo con i suoi coetanei e non avendo interlocutori per confrontarsi, Andrea si isola e comincia a disegnare da solo, sperimentando i primi tentativi della sua arte. Con questo malessere Andrea, a solo 12 anni, inizia il suo percorso artistico con il graffiti writing sui muri della città. Poco dopo frequenta il Centro Sociale grazie al quale, attraverso la radio locale saltuariamente mette musica su Radio Casbah, si avvicina alla musica che inizia a conoscere.
L’impulso di emigrare e di fuggire da questa città chiusa e senza stimoli, il giovane Andrea lo assume appena maggiorenne per trasferirsi dapprima nella capitale, dove si diploma alla Scuola Internazionale di Comics e successivamente a Bologna nel ruolo di Art Director dalla Dynit, importante editore italiano di anime e manga giapponesi, per sistemarsi definitivamente a Milano da quasi 15 anni.
Lo incontriamo un pomeriggio di fine febbraio. Il suo studio è a Opera, alle porte di Milano, in un grande capannone industriale all’interno di un cortile di piccole realtà artigianali. Lo spazio è vasto, altissimo e molto luminoso.
Superato l’ingresso su strada, si percorre una scala alla fine della quale c’è un piccolo salotto, con un tavolino e due sedie da lui stesso creati e disegnati riciclando oggetti di recupero trovati per caso. Al fianco una grande mensola con oggetti domestici interpretati con la sua arte, disegnati e dipinti con colori forti che donano una nuova vita agli oggetti ormai desueti. In una cassetta i cataloghi delle mostre da lui organizzate e autoprodotte, ormai tutti introvabili.
Alle pareti, sparse nel grande ambiente, sono appesi quadri, di ritorno da qualche precedente mostra o da esporre in una prossima installazione. In un’ampia zona ben definita c’è il magazzino The Amazing Art, contenitore di idee ed oggetti per amici, che apre come hobby nel 2007. Numerosissime bombolette raccolte in cartoni per ogni sfumatura di colori e tutti gli accessori necessari agli interventi Street ma anche Tschirt, gadget, riviste, cover per cellulari, articoli ordinabili via rete attraverso il sito.
Mr. Wany è un ragazzo quarantenne, serio e responsabile, padre di famiglia. Pieno di energie, affabile e disponibile si presta con gentilezza a raccontarci la sua storia. Definirlo solo a livello artistico non è semplice perché la sua curiosità e la sua impulsività lo hanno sempre spinto a testare nuove tecniche ponendosi con l’atteggiamento umile di chi ha sete di conoscenza e desidera apprendere con passione per accumulare esperienza e capacità.
La sua è una speciale attitudine caratteriale, di ricerca continua che lo spinge dentro mondi a lui sconosciuti, come se il talento non avesse confini. La sua forza è la serenità con la quale riesce a introdursi in questi diversi mondi, così apparentemente lontani, per fargli fare il ballerino, il tatuatore, l’editore, il produttore musicale…, uno stimolo via l’altro con la stessa intensità e passione.
Il suo lavoro di Urban Artist ha origini ispirandosi al graffitismo newyorkese anni ‘70 e ‘80 con un tipico linguaggio, carico e dinamico, espansivo e irruente, necessario per “uscire dal bordo ed al limite della comprensione”. Il suo marchio di riconoscimento che lo fa distinguere dagli altri Street è il personaggio di sua invenzione Hiroshi Kabuki, che Mr. Wany rappresenta ogni volta in differenti contesti. E’ il suo alter ego sempre presente nei suoi lavori.
L’interesse attuale di Wany è rivolto verso lo studio di approfondimento sui differenti style writing americani, il primordiale linguaggio che ha condizionato il nascente movimento che avrà poi influenze mondiali. La ricerca è racchiusa nei lavori in un recente progetto, nel quale ha letteralmente catalogato, minuziosamente come in una teca di farfalle, i linguaggi lettering usati dai primi interventi sui muri.
Mr. Wany assume nel suo lavoro tutti i percorsi dei codici passati, dal primo graffitismo al lettering, fino alle più recenti ricerche di astrattismo, e si distingue facendo uso di un linguaggio che mantiene l’equilibrio formale, ed efficace, del fumetto giapponese, impulsivo, narrativo, che illustra, con quel tipico linguaggio espressivo, azioni e sentimenti. L’esperienza tra cartoon e fumetti giapponesi fatta a Bologna ha influenzato profondamente il suo linguaggio facendolo diventare un punto di riferimento importante nel mondo non solo della Street art internazionale.
Mr. Wany dipinge con passione tutti i giorni, sui muri, su carta, tele, e oggetti di recupero (cartelli stradali, bastoni, materassi…) in una frenesia istintiva, libera e tenace, in una pulsione continua. Data la sua unicità e grazie alla credibilità acquisita sul campo, riesce ad ottenere sponsor da brand nazionali ed internazionali, partecipare a diverse biennali (n. 2 a Venezia) e, nella veste di curatore e talent scout, con l’evento Amazing Day che organizza da 12 anni in tutta Italia ha coinvolto oltre 600 artisti internazionali e non.
Perché l’utilizzo del coefficiente?
Ho iniziato a lavorare in maniera esclusiva con una galleria nel 2007, per circa 1 anno e mezzo, con loro ho fatto con contratto in cui era necessario capire qual era il coefficiente per quantificare l’acquisto. Poi negli anni ho fatto delle Aste da li il coefficiente. Ma anche per me è semplicemente un’unità di misura per capire più o meno quanto attribuire a un’opera. Ci sono alcune che ci impiego di più a fare e che dovrei far pagare di più e alcune che ci impiego di meno che farei pagare di meno, però tento di utilizzarlo per avere un’unità di misura di facile comprendonio per tutti.
Come definiresti la tua arte?
La mia arte è un mix, un “fusion” di tante esperienze. Io inizio a disegnare da bambino guardando i cartoni animati giapponesi. Poi a 12 anni inizio a fare Style writing con utilizzo dei personaggi. Negli anni ’90 vado a vivere a Roma ed esco con il massimo dei voti alla scuola di Illustrazione e fumetto e divento quasi subito conosciuto a metà anni ’90 per i personaggi che disegno. Nei primi del 2000 inizio a fare, inconsapevolmente, Street art perché inizio a dipingere materassi, alberi, bici, tutto quello che mi passa per la testa e inizio a fare le prime mostre. Dal 2001 al 2007 inizio a lavorare come grafico pubblicitario a Bologna quindi mi trovo a lavorare con i materiali originali Giapponesi.
Nel 2004 a Bologna faccio la mia prima mostra personale dentro Fabrica Feautures il primo negozio italiano di Fabrica, progetto nato da un idea di Olivero Toscani, mostra digitale con tecniche innovative di animazione estemporanea video che vanno a tempo con la musica. Andando avanti ho avuto altre esperienze all’estero fino al 2007 a Milano con la famosa mostra al PAC, “Sweet Art Street Art”, che sdogana la Street anche in Italia. Diciamo che tra il 2004 e 2007 sono gli anni cruciali della street art in italia. Ultimamente mi sono anche appassionato al tatuaggio, che è durato pochissimo, conseguendo la certificazione per tatuare. Ho tatuato in maniera sparsa anche degli amici rapper, ma adesso non ho più molto tempo per seguire questa cosa, quindi posso dire che chi ha un mio tatuaggio è abbastanza “fortunato” perché non avrò il tempo di portare avanti questa passione che per me è quasi un hobby. Nella pittura che vedi oggi c’è un po’ di tutto questo.
Chi è il tuo cliente/collezionista ideale? Qual è il tuo target, se si può definire un target, per un collezionismo del tuo lavoro?
Il mio target ha una forbice molto ampia perché arrivo da mondi che sono molto underground quindi molto legati ai giovani, ma arriva anche al collezionista che si sta avvicinando alla Street art, quindi un vecchio collezionista che magari, insieme ad un De Chirico o un Picasso, vuole avere un pezzo di Street art di Mr.Wany. Essendo in Italia uno tra attivi e rappresentativi, credo, dagli anni 90 ad oggi sono 29 anni, non stop, probabilmente ci tengono ad avere anche un mio pezzo.
Il tuo ultimo e il tuo prossimo muro? Fai ancora Murales?
Certo, certo! Ho dipinto uno dei muri più grandi del mondo, a Beirut, sono in realtà due palazzi gemelli, uno a Beirut e l’altro ad Abu Dhabi, dove abbiamo dipinto in 15 artisti internazionali, io unico italiano, 2 palazzi grandi come il Colosseo. Poi a Dubai ho dipinto la tela più lunga del mondo, per il principe di Dubai, 150 artisti internazionali, unico italiano. Io dipingo tutti i giorni.
Qua dentro?
Si, qua dentro nel mio studio The Amazing Art, sul muro, in giro per il mondo, a casa, creo anche del design in digitale, disegno tutti i giorni.
Il mio ultimo muro… fammi pensare…, si, settimana scorsa con Norm un mio amico tatuatore di LA, tatuatore bravissimo con studio ad Hollywood, uno dei più conosciuti al mondo, per capirsi ha tatuato, fra i tanti, Marylin Manson, come ogni anno era qui perché c’era la Milano Tattoo Convention, siamo andati a fare un muro veloce, giusto per stare un po’ insieme. Invece una delle ultime tele che ho dipinto è questa che vedi, si chiama Red Bird, fa parte di un progetto di mostre che ho già fatto alla Galo Art di Torino e alla Street Level di Firenze, giovani gallerie che lavorano bene, con “knowledge”, sulla cultura Urbana.
Questa è un’opera nuova perché avendo fatto queste 2 date ho venduto diverse opere in queste mostre e quest’ultima si aggiungerà a questa mostra/progetto intitolato “Ephemeral Beauty” che è una mostra tributo a i Graffiti Writers degli anni ‘70 e ‘80 di New York. Parla un po’ della storia di come nasce il graffiti writing. Studio un po’ lo stile, tutti gli stili che sono stati inventati perché, il writing a differenza della Street art, è scrittura e se ci pensi la scrittura è l’unica cosa che ci differenzia dagli animali. E’ un po’ lo specchio dell’anima di chi la fa.
Lo style writing meglio conosciuto come graffitismo ha un font tutto a sé stante, per me molto interessante, ma bisogna essere molto “deep” nello studio di questo tipo di lettering per poterle decodificare. Una mostra tributo con tante piccole citazioni da Patty Astor al fumettista degli anni ’70 Vaugh Bodè. C’è anche un’opera con un vagone della subway/balena che parla di quando il Comune di New York decise di scaricare questi vagoni nell’Oceano con l’idea di creare una barriera corallina per i pesci per sostituile con le nuove carrozze. Quello che mi viene da pensare è che in fondo all’abisso ci siano dei lavori che adesso costerebbero centinaia di migliaia di dollari arenati per i pesci.
Perché adesso si sta scoprendo insieme ad keith Harring ed Basquiat ci sono stanti tanti graffitisti che sono stati degli innovatori e che iniziano ad essere rivalutati come Rammeellzee, e Dondi White, PhaseII e tanti altri, tutti personaggi cardine della nostra cultura del writing ed hip hop.
In Italia con chi ti senti vicino?
Conosco moltissimi artisti, uno che sicuramente è un mio amico e collega che rispetto, sia come opera che come persona, è Peeta. Ce ne diversi, ma poi dipende a che livello. Per esempio Peeta, come me, riesce a lavorare sia come writer che come artista. Alcuni non hanno l’interesse di essere artisti, altri non riescono.
Qual è il confine tra essere uno Street artist e un artista?
Nessuno. Se tu sei libero e lo fai con naturalezza. Chi invece forza l’idea di dover necessariamente entrare nelle gallerie secondo me si snatura e perde quella forza che arriva da questo movimento. Io per esempio continuo a dipingere in strada, mi piace e mi tiene attivo rispetto alle mie idee. Per me il confine non c’è ma perché io ho sempre pensato di fare arte. L’idea è quella che uno si impegna per riuscire a smuovere qualcosa. Prima magari, quando ero in strada, tentavo di toccare alcuni punti, quando sono indoor tento di toccarne altri perché parlo anche di più della mia persona, non di quello che voglio apparire in strada.
In strada si tende di più a gonfiare il petto.
In strada sono Mr. Wany, colori sfavillanti, anche un po’ tamarro, quando sei su tela sei così, con te stesso e come se stai chiacchierando con la tela. Escono fuori parole, escono fuori idee, ricordi, sentimenti e tu li metti li, anche se più fragili e questa è sempre stata sempre la mia dimensione con il disegno.
Nel tuo lavoro vuoi raccontare qualcosa di te o cosa vuoi raccontare?
In realtà io penso che tutti gli artisti parlino sempre un po’ di se o delle proprie esperienze o delle proprie idee. Quando il cerchio è chiuso alla fine parli sempre di cose tue anche di idee tue, di cose che vuoi dire. Mi piace quando ho qualcosa che voglio dire, mettermi a studiare per poi poterlo dire in immagini, ricercare, leggere… Per me quando faccio una mostra personale è un viaggio di almeno 2 o 3 anni. Mi metto lì, studio, capisco quante opere voglio fare, come le voglio fare…, le mie opere sono quasi sempre una diversa dall’altra. Non sono una tipologia di artista che trova una chiave e la utilizza in maniera sistematica. Troppo facile. Troppo comodo.
Questo può anche essere contro producente, o no?
Dipende. Quando non avrò più idee posso utilizzare delle idee che ho già avuto. Sino ad oggi sono sempre stato uno a cui piace sperimentare quindi per me fermarmi è un limite. Ci sono delle cose che abbozzo e che poi riprendo dopo degli anni. E mi piace farlo. Faccio quello che mi va di fare e stica…i!
Fai anche carte?
Come fumettista inizio dalla carta. Ma ti dirò di più, mentre le tele riesco senza problemi a separarmene, la carta faccio veramente fatica a staccarmene. Eppure anche se un disegno su A4 costa circa 600 euro, delle volte preferisco non venderle. Quando ero bambino preservavo i disegni su carta e l’idea che vada via un po’ mi disturba. Adesso sto lavorando sul mio libro dei 30 anni (di carriera) che uscirà nel 2020. Anche lì c’è tantissimo lavoro. Sto diventando matto a capire cosa voglio mettere, cosa posso mettere. Perché ho una produzione molto amia e diversificata
Quante opere fai in un anno?
Su tela neanche troppe ma sul muro ne faccio una valangata. Ne faccio almeno uno a settimana su muro. Se li conti sono tanti.
Ma tu il muro come lo scegli?
Non è che lo scelgo, spesso mi succede che mi chiamano. Quindi io arrivo lì e il muro è già pronto. Magari io prima scelgo i colori, il soggetto, eccetera. Alcune sono proprio delle commissioni, altre volte lo scelgo io perché la location del muro è sicuramente importante, 50% dell’opera, perché devi giocare con l’architettura. La parte bella della Street art, del writing, è che tu comunque devi interpretare l’architettura, la location, devi anche capire la luce del giorno, qual è il momento giusto, tutto deve combaciare alla perfezione. Quindi la location è sempre diversa. Di volta in volta la valuto e la gestisco. Però sono estremamente versatile nel senso che se c’è un scalino in più metto un dito in più alla mano e via così. Mi diverto a fare queste cose.
Ma qual è il passo che ti ha fatto diventare un famoso Street artist?
La ricerca di una poesia ruvida che puzza di strada. Avere delle idee e volerle raccontare, l’originalità nel disegno e l’uso del colore, la tecnica, un background ed anche l’impegno, l’amore e la costanza che metto in quello che faccio.
Cosa ti rende diverso dagli altri?
La spontaneità, l’arte italiana ha bisogno di sincerità e spontaneità. Credo che il lavoro di un graffitista debba essere zozzo, sporco, fatto a mano libera, istintivo. Una tecnica troppo “manierista” si legata male ad un artista di strada.
Perché il mondo dell’Arte contemporanea guarda al mondo della Street con una certa diffidenza?
Probabilmente per la confusione generale creatasi all’origine, e che ancora permane, anche se è attivo un processo di storicizzazione che aiuterà a mettere le cose più in chiaro.
La periferia di Milano come la vivi? Come un limite o come un’opportunità?
Io in centro a Milano non ci riuscirei a lavorare perché passerebbe troppa gente dallo studio. Ho scelto di essere fuori Milano, che è proprio una scelta, per una serie di cose che ho valutato, legate ovviamente anche ad i costi, ma penso che uno studio di un artista non ha senso che sia in centro a Milano, non siamo una multinazionale. Questo è il mio studio se uno è interessato a vedere le mie opere può venire anche a trovarmi, però di solito se non viene alle mostre, non è che sia una cosa matematica che uno apra le porte del proprio studio. Infatti appena mi sono trasferito qui non lo facevo, però adesso mi piace che ogni tanto qualcuno mi venga a trovare perché poi condivido la mia dimensione con le persone che è anche il mio compito.
Rapporti con la musica?
Tantissimi! Nel ‘96 ho iniziato a autoprodurre un magazine di cultura Hip Hop, super underground, si chiamava Ill Fame, poi nel 98 ho deciso di co-produrre anche un mini Ep in Vinile di cui ho curato titolo anche la grafica, intitolato “Bboy guerrieri”, li c’era anche un il primo pezzo edito di Fabri Fibra, che è un rapper che stimo tantissimo.
Mi è capitato di ribeccarlo dopo tanti anni ora che è diventato una vera icona del rap italiano anche con il suo dj, Rino Double S siamo amici da molti anni. Ho disegnato alcune copertine per dei dischi tipo i Boom Da bash, i Funky Mama, Ghoper D gli Inglesi The Neutronics e le copertine del primo free style contest nazionale “2 The Beat”. Poi, come dicevo prima, ho tatuato tanti rapper, ad esempio El Raton della Macete crew, Nerone, Mouri, ma anche Clementino.
La tua arte come si “combina” con la musica?
Io quando dipingo ascolto musica e mi piace sempre, amo tantissimo il Funky e poi con l’età sto iniziando ad apprezzare anche il Jazz ed il Blues insomma quelle cose più raffinate ma in realtà mi piace tutta la musica che riesce a tramettermi qualcosa. Del rap mi piacciono le parole perché sono poesia in rima per me e quando dipingo mi piace avere degli input di questo tipo. Mi piace il rap, in italiano, anche perché il rap americano non parla più di cose che mi rappresentano da un po’ di anni ormai. Ci sono dei generi che non ascolto più che mi piacevano da ragazzino tanto, tipo il Ragga, da quando capisco quello che dicono, mi piacciono un po’ di meno, sono troppo omofobici, troppo maschilisti però musicalmente mi piace. Mi piace rispettare un artista che ha nel concetto e nella musica delle cose belle, da sentire e da ascoltare. Non mi piace la gente che hai dei messaggi troppo negativi, oltre la musica. Ti scontri sempre con l’umanità della persona a prescindere da quello che uno può realizzare e delle volte ti rendi conto che oltre l’arte non c’è nulla o che non c’è semplicemente empatia.
Per me il lato umano, lato empatico è molto importante. Purtroppo ogni volta che ascolto un telegiornale mi viene l’angoscia, delle volte scoppio anche a piangere. La società in cui viviamo non è rose e fiori ma forse proprio per questo il nostro compito è quello di essere positivi. Io sono nato e cresciuto a Brindisi, un posto veramente brutto, soprattutto negli anni in cui sono cresciuto io, anni ‘80 e ‘90, malavita, contrabbando, risse, violenza gratuita, ignoranza, bullismo…. Ero un ragazzo estroso, fuori dalla normalità e quindi tutto quello che non era nella normalità veniva additato e aggredito.
Pensa che io all’epoca frequentavo il Centro Sociale che era l’unico punto per potersi esprimere, era l’isola felice dove potevi essere te stesso imparando qualcosa senza essere guardato come un extraterrestre. Era un rifugio per noi, molto pulito, non di quelli squottati. una volta ci hanno dato fuoco, con noi dentro, perché ci reputavano tossicodipendenti o per altri motivi. Era un preconcetto, molto diffuso. Molto pericoloso. E mi domando in che mondo siamo?
Come esprimi questo concetto nell’arte?
Prima di esprimerlo nell’arte lo esprimo nella vita, comportandomi come ritendo sia corretto fare ed insegnandolo a mio figlio. Queste sono le prime due cose che faccio. Poi nell’arte non ho mai avuto la vera esigenza di dirlo ma perché per me, ripeto, sono un artista molto spontaneo, per me è naturale non essere razzista o omofobo. Quindi non sento la necessità di doverlo dire più di tanto. Il mio mondo è un mondo un po’ diverso, è un mondo surrealista, pop surrealista che ha un forte backgroud nel writing e nella street art ma soprattutto nella cultura hip hop, quindi non sono argomenti che tratto normalmente però per esempio, quando ho fatto il workshop al liceo artistico di Viale Padova ai ragazzi ho fatto realizzare un tema multi etnico che abbiamo realizzato sui muri. Ci sono queste 2 mani che si stringono fatte di bandiere e di icone di diverse culture e questo è l’insegnamento che riesco a dare nell’arte cioè farlo fare a loro, perché per quel che mi riguarda in questo momento non sento questa esigenza che diciamolo è anche un po’ trandy. Quando mi sentirò di farlo, lo facrò probabilmente.
Mr. Wany ha una spontanea lealtà che nasce dalla consapevolezza della propria capacità. Nonostante sia un artista eclettico, multiforme ed in continua evoluzione, il suo stile personale è riconoscibile e identificabile. L’uso dei suoi personaggi e di lettere lo rende unico nello scenario visivo dello style writing. Ci aspettiamo grandi cose in un futuro prossimo.