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C’era una volta la fotografia. Dai dagherrotipi a Mario Giacomelli, Senigallia capitale dello Scatto

Mario Giacomelli; C'era una volta la fotografia *
Mario Giacomelli; C'era una volta la fotografia
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C’era una volta la fotografia. 18 aprile-2 giugno 2019. Sbarcano nella “Città degli Scatti” due mostre che vanno a sigillare e anticipare il ruolo di protagonista che avrà Senigallia nella Biennale di Fotografia 2020.

  •  Cavalli, Ferroni, Giacomelli. Scatti inediti dagli archivi di Senigallia.

          18 aprile – 2 giugno | Palazzo del Duca

Cavalli; C'era una volta la fotografia
Tre Cavalli, Giacomo Cavalli

La storia artistica di Giuseppe Cavalli, Ferruccio Ferroni e Mario Giacomelli è strettamente connessa da un lato alla città di Senigallia, città d’elezione per il primo e natale per gli altri due, e dal fatto che furono l’uno il maestro dell’altro, andando poi a formare quel “laboratorio senigalliese” di fotografia che non ha mai smesso, per oltre un cinquantennio, di contribuire, con i suoi protagonisti, all’importante dibattito teorico che si è svolto in Italia intorno alle funzioni e alle estetiche di questa arte. La mostra ripercorre questa vicenda per scoprire le modalità attraverso le quali ognuno dei tre fotografi ha individuato i propri interessi e manifestato il proprio linguaggio. Nel 1947 Cavalli redige il manifesto del celebre gruppo La Bussola, sintesi di quei principi estetici che promuovevano una fotografia prettamente artistica. Nei primi mesi del 1953 progetta la fondazione di una nuova associazione fotografica a Senigallia, il Gruppo MISA, dove far confluire e maturare i giovani più promettenti in vista di un loro inserimento nell’elitaria cerchia de La Bussola. Fu in questo contesto che Giacomelli decise di mostrargli le sue prime immagini. Cavalli le trova interessanti e affida a Ferroni, già suo allievo, la formazione di Giacomelli relativamente alle tecniche di ripresa e a quelle, ritenute fondamentali, di sviluppo e stampa in camera oscura.

Un milieu comune che produsse però risultati molto diversi, sia nella resa fotografica, nella tecnica e nella poetica dei tre autori. La fotografia di Giuseppe Cavalli esclude a priori il documentarismo, è solo una sintesi poetica, dove ciò che conta è la composizione e il soggetto ha un’importanza secondaria e indipendente dalla sua natura. Cavalli rivendica una cultura e dei modelli prevalentemente pittorici, che trasferisce al suo allievo Ferruccio Ferroni, ma da cui lui ben presto si distacca in maniera decisa. Ferroni infatti ha come riferimento solo la cultura e il mezzo fotografico. Mario Giacomelli opera ancora diversamente e fin dalle prove più datate sviluppa un sistema linguistico personale con proprie regole grammaticali che permettono di collegare tra loro le immagini con rimandi simbolici e rituali, per un racconto che dura tutta la sua vita e che lo porta ad una sperimentazione continua e ad una ricerca del sé e della realtà attraverso la fotografia.

  • Piccoli tesori dell’800. Marubbi, Naretti, Callotipi, Dagherrotipi e variazioni.

          18 aprile – 2 giugno | Palazzetto Baviera

Luigi Naretti; C'era una volta la fotografia
Ragazze Beni Amer, Luigi Naretti (particolare)

Una vera e propria wunderkammer di tesori fotografici, stampe d’epoca, che svelano usi, costumi e modi di vivere della società del secondo Ottocento, senza trascurare un tocco di esotico ed etnografico. A cominciare dal barone Alexander von Minutoli creatore nel 1845 a Legnica, in Polonia, di uno dei primissimi musei di arti decorative in Europa. Minutoli fa ampio uso della fotografia e, utilizzando un ingegnoso sistema di schizzi e un telescopio, crea un corpus di oltre 150 fotografie su carta salata con l’obiettivo di contribuire alla formazione degli studenti di arti applicate e diffondere gusto e conoscenza e quindi migliorare il commercio e la promozione delle arti. Nel 1939 Luis Daguerre in Francia elabora la tecnica del dagherrotipo producendo esemplari dalla luminosità vivace e scintillante e con una resa precisa dei dettagli, a cui si contrappongono la profondità della carta e le ombre sfocate dei callotipi messi a punto negli stessi anni dall’inglese William Henry Fox Talbot cha valorizzano più la composizione d’insieme e i giochi di luce. Infine, si arriva a Luigi Naretti e Pietro Marubbi, due dei più conosciuti fotografi etnografici che raccontano la società eritrea e quella albanese della seconda metà dell’Ottocento. Naretti è il primo vero “fotografo colono” che risiede stabilmente in Eritrea dal 1885, documentando l’impresa coloniale italiana con un’imponente produzione fotografica, in cui si riscontrano gli stereotipi e i temi dell’esotismo ed erotismo tipici dell’immaginario coloniale del periodo. Proprio per questo scatta prevalentemente in studio, ricostruendo l’ambiente indigeno con un intento antropologico, da un lato cercando di classificare l’appartenenza etnica dei soggetti e dall’altro realizzando molti nudi femminili secondo il mito della Venere Nera. Pietro Marubbi, si stabilisce a Scutari in Albania nel 1850, allora sotto l’impero Ottomano. Lì dopo pochi anni apre il primo studio di fotografia nei Balcani e inizia a documentare la storia albanese ottenendo varie pubblicazioni in riviste internazionali. Nel corso degli anni la voglia, mista a vanità, di farsi ritrarre contagiò tutti, impiegati, religiosi, gente comune ed eroi popolari, come Hamza Kazazi, l’eroe dell’insurrezione nazionale fotografato nel 1859, un anno prima della sua morte, e, nello stesso anno, Leonardo De Martino, poeta albanese rifugiatosi in Italia per fuggire dalle conquiste ottomane.

Info utili:

C’era una volta la fotografia

18 aprile – 2 giugno

-Cavalli Ferroni Giacomelli. Scatti inediti dagli archivi di Senigallia | Palazzo del Duca, Senigallia

-Piccoli tesori dell’800. Marubbi, Naretti, Callotipi, Dagherrotipi e variazioni | Palazzetto Baviera, Senigallia

www.feelsenigallia.it 

www.comune.senigallia.an.it

C’era una volta la fotografia. Senigallia riscopre le origini e i protagonisti del fotografare.

*Primo Maggio al fiume, Mario Giacomelli

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