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Intervista a Irina Ojovan, in mostra da The Flat con Dusk Till Dawn

Irina Ojovan, Sarmizegetusa N 65_ 2019, Irina Ojovan, Sarmizegetusa N 65_ 2019, olio su tela, 47x41 cm
Dusk till Dawn, 23 maggio > 26 luglio, The Flat - Massimo Caras
Dusk till Dawn, 23 maggio > 26 luglio, The Flat – Massimo Carasi. Espongono Matthew Allen, Daniel Mullen, Irina Ojovan, MaurizioViceré

Dusk Till Dawn, collettiva alla galleria milanese The Flat – Massimo Carasi. Intervista all’artista Irina Ojovan

Quattro giovani artisti chiamati a proporre la loro interpretazione della luce e dei colori: Dusk Till Dawn tinge la galleria The Flat delle sfumature che popolano le ore che intercorrono tra crepuscolo e alba. Composizioni e sculture giocano con riflessi, colori e, soprattutto, la nostra percezione della luce. Le opere di Irina Ojovan, Maurizio Viceré, Matthew Allen e Daniel Mullen dialogano in questa collettiva in cui, in verità, è la luce stessa ad assumere il ruolo di arbitro sulle nostre percezioni: come un Oberon – o forse un Puck – shakespeariano la luce cambia le carte in tavola e gioca con sfumature delle opere che raramente appaiono sempre uguali nell’arco della giornata. La luce solare scopre tinte che la luce artificiale nasconde all’occhio scrutatore, rendendo l’idea della complessità e del fascino proprio del mondo dei colori.

Irina Ojovan (1988, Chisinau, Moldavia) ha studiato in accademia in Italia e in Germania, dove attualmente vive e lavora. Nonostante la giovane età ha già esposto in diverse parti dell’Europa, attirando l’attenzione di molti addetti ai lavori. Recentemente ha vinto il premio Winsor & Newton Residency Fellowship a Berlino. Le sue composizioni combinano forme e colori creando spazi dalle sembianze quasi architettoniche. Abbiamo avuto l’opportunità di porgerle qualche domanda:

Il colore sembra avere una grande importanza nelle tue opere. Quale ruolo riveste nel tuo processo creativo?
Il colore è sicuramente un elemento importante per me, ma quando sviluppo un’opera non è più il mio punto di partenza. Sicuramente è stato uno dei miei più grandi interessi per molti anni, ma a questo punto della mia carriera credo di aver raggiunto un buon grado di confidenza con esso. Ogni volta che penso a un’idea per un’opera so che tecnica usare, scelgo i materiali con cui lavorare e inizio a immaginare quali colori applicherò: la quantità, le miscele e via dicendo. Certo è ancora importante, ma in questo momento il lavoro con i colori è qualcosa che in qualche modo vedo come secondario.

City-portrait-Color-N03
Irina Ojovan, City Portrait, Color N03 2013, 25x20cm, serigrafia

E perciò cosa definiresti come punto di partenza?
Farò un esempio. Le opere che presento per Dusk Till Dawn, qui a The Flat, fanno parte della serie Sarmizegetusa. La serie è nata da una domanda, mi sono chiesta “Come posso rappresentare qualcosa di completo, ma allo stesso tempo senza dire veramente tutto: dare solamente un’impressione di questa completezza”. E il titolo della serie è eloquente: prende nome dalla fortezza Dacia in Romania – Sarmizegetusa, appunto. Queste rovine, osservandole, mi hanno spinto a completarle nella mia testa. Perciò ho tradotto questa sensazione nelle mie opere: prendendo un elemento completo, come una forma – un cerchio, ad esempio – e  usandone solamente una parte. Metà o un quarto di cerchio, come  fosse l’inizio di qualcosa. Io inizio a raccontare la storia, l’osservatore potrà completarla.
Ma sono anche interessata allo spazio, nelle sue declinazioni di spazio positivo e negativo. Do la stessa importanza allo spazio positivo, il visibile, e allo spazio negativo, l’invisibile, l’assenza di qualcosa. E questa attenzione allo spazio è presente tanto nelle mie sculture quanto nelle mie composizioni. Per esempio, nelle composizioni di Sarmizegetusa uso il nero lucido per dare l’impressione di presenza – spazio positivo – e il nero opaco per dare quella di assenza – spazio negativo.

In questi anni hai viaggiato molto per studiare e per le tue mostre. Italia, Germania, Sicilia e Francia sono alcune delle tue destinazioni. Il tuo processo creativo viene influenzato dai diversi paesaggi e dalle diverse atmosfere dei luoghi che visiti?
Sì, a dire il vero non ho mai un riferimento fisso per creare le mie opere. Non inizio mai a lavorare su una serie o un’opera da qualcosa come una foto. Anzi, sono le memorie che risalgono dal mio subconscio che mi danno l’input. Sono una persona che si guarda molto intorno e che osserva. E preferisco lavorare su me stessa, allenando il mio cervello, i miei occhi e il mio corpo ad assorbire tutte le informazioni intorno a me, piuttosto che fotografare tutto ciò che mi circonda. In seguito cerco di elaborare queste informazioni e tradurle in un’opera. Altrimenti finirei per creare una copia di ciò che ho già visto.
A volte, a causa di questo procedimento, mi capita di finire un’opera e avere la sensazione che questa mi ricordi qualcosa, ma senza riuscire a capire precisamente cosa. Mesi fa, mentre tornavo a Monaco da Torino, ho notato un cartello in autostrada e improvvisamente ho realizzato che quella forma era identica a una usata in una mia composizione!
Questo processo di assorbimento e traduzione è molto visibile nella serie City Portrait. Mi ero appena trasferita a Monaco da Roma, ed era tutto così diverso: Roma è tutta rossastra, a Monaco invece puoi trovare un palazzo viola attaccato a un edificio verde o a uno bianco. Questa varietà ed esplosione di colori mi ha influenzata e ho assorbito tutto quello che ho visto in giro per la città.

Negli anni la tua tavolozza si è scurita. C’è una ragione dietro questo cambiamento?Prima il mio obiettivo principale, o investigazione, era la ricerca sul colore, sulle trasparenze. Ogni volta cominciavo dal bianco (quello della tela e nella mia mente), e poi ricominciavo ancora. Ma a un certo punto ho iniziato a sentire il peso di questo processo, non mi dava più stimoli. Non volevo neanche rischiare di perdermi in qualcosa di infinito. Allora ho deciso di prendere una direzione precisa. Per questo nella serie Sarmizegetusa ho deciso di ridurre la mia tavolozza, per sforzarmi, usando solamente tre colori per la maggior parte del tempo: nero lucido/opaco, una sfumatura di rosa/ocra, e il verde. Mi sono voluta mettere alla prova, per vedere se sarei stata capace di lavorare solamente con questi colori e allo stesso tempo continuare a portare le mie ricerche sempre più avanti. Ma a volte lavoro parallelamente su un’altra serie, chiamata Thoughts, in cui mi lascio più libertà per sperimentare. La serie si chiama così perché nella mia testa ci sono una miriade di informazioni, veramente.

Nelle tue opere qual è la relazione tra colori e forme?
Quando inizio a lavorare comincio dal disegno. Sto molto attenta alle forme, in seguito aggiungo i colori. Quando si crea una composizione è importante lavorare in questo modo: prima il disegno delle forme, in seguito entrano in gioco i colori. Perché potresti creare qualcosa in cui i colori sono così ben bilanciati da perdere di vista la cosa principale. Ecco perché comincio sempre dal bianco e nero. Una volta raggiunto l’equilibrio perfetto tra forme, allora il colore può essere aggiunto per rendere la composizione ancora migliore. Ma se cominci dai colori puoi perderti in essi, puoi essere abbagliato dalla loro bellezza. Il mio obiettivo è andare in profondità, ed è per questo che faccio sempre uno schizzo preparatorio – fisico o mentale – solamente con le forme. Quindi direi che per me, più che i colori, è importante il disegno, l’architettura dentro i miei lavori.

Piani per il futuro?
Ho in programma una collettiva alla fine di giugno a Berlino. Poi finalmente metterò mano alla mia nuova serie, sto pianificando di creare delle sculture in metallo e di grandi dimensioni. Giugno, luglio e agosto li impiegherò per questi lavori. Poi a ottobre avrò un progetto a Monaco e infine a gennaio mi aspetta un’altra mostra collettiva.

 

Dusk Till Dawn
Presso The Flat – Massimo Carasi, Milano
Fino al 26 luglio 2019

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