In libreria “Dal classico al postmoderno al global – teorie e analisi delle forme filmiche” di Veronica Pravadelli
È uscito in libreria “Dal classico al postmoderno al global – teorie e analisi delle forme filmiche” di Veronica Pravadelli (edito da Marsilio), un volumetto che si presenta tanto agile nel formato quanto denso nel suo contenuto. Il libro presenta un percorso teorico e storico sull’evoluzione del linguaggio cinematografico partendo dal cinema classico degli anni ’30 fino ad arrivare al global film contemporaneo. In questo viaggio Veronica Pravadelli mette in luce le trasformazioni dei modi della rappresentazione cinematografica attraverso una serie di saggi, in ognuno di questi la teoria delle forme trova dimostrazione (ed esempio) nell’analisi di alcuni film e/o autori. Un libro imperdibile per tutti i cinefili e appassionati del mondo cinematografico, ricchissimo di spunti, riflessioni e analisi.
Classico, moderno e postmoderno, questi i tre fulcri attorno a cui si sviluppa la ricerca del volume, arrivando ad analizzare il cinema contemporaneo nei suoi esiti dopo il postmoderno.
Quando si parla di cinema classico ovviamente si parla di Golden age hollywoodiana, sebbene l’autrice identifichi come “classico” – nei modi della rappresentazione – solo il cinema prodotto tra il 1934 e il ’39 (la Golden age, tradizionalmente, ha invece un arco che va dal ’19 fino al ’63, circa), considerando il melodramma già una forma che va oltre la classicità.
Simbolo del linguaggio cinematografico classico è Susanna! (Bringing Up Baby), film del 1938 diretto da Howard Hawks con Katharine Hepburn e Cary Grant: «Susanna è un esempio significativo di convergenza tra scrittura classica e autorialità, tra una scrittura classica che ha definitivamente integrato il sonoro, ma che è anche stata cambiata da sonoro stesso, e la raggiunta maturazione del mondo hawksiano giocato sulla relazione tra normalità ed eccentricità, tra lavoro e divertimento, fondato sul timore che la donna incuta nell’uomo […]».
Segue un saggio che spiega come il melodramma abbia contribuito alla trasformazione e alla crisi dei modelli narrativi della classicità: “Oltre il classico. Melodramma, spettacolo e sensazione”, dove il film analizzato è Come le foglie al vento (1956, Douglas Sirk, con Dorothy Malone, Rock Hudson e Lauren Bacall).
La parte che affronta il moderno si sviluppa da una parte collegandosi al postmoderno e dall’altra analizzando le opere dei più grandi autori del cinema italiano degli anni ’60: Antonioni (l’autore moderno per eccellenza), Visconti (l’autore popolare) e Fellini. «Il cinema d’autore moderno, in primis quello italiano – spiega l’autrice – ha eletto la crisi del soggetto a tema privilegiato, presentando, ossessivamente racconti di introspezione narcisistica o di conclamata incapacità dell’io di capire sé e il mondo».
A Prima della rivoluzione di Bertolucci, film all’uscita tanto amato in Francia quanto poco considerato in Italia, è dedicato un saggio e un’analisi a parte, “Prima della rivoluzione e modernità: stile, classe, gender”, che ne analizza le tematiche e il linguaggio (lo stile), con particolare attenzione ai rapporti di classe e alle relazioni di genere: «Diversamente dal cinema classico il cinema d’autore privilegia il personaggio all’intreccio. Il racconto è irto di ellissi e le relazioni causa-effetto (tipiche del cinema classico. N.d.r) sono fortemente allentate. Il personaggio viene esibito a scapito dell’azione […]».
Quello sul postmoderno è un dibattito critico che da oltre 40 anni occupa un posto significativo nel panorama culturale e accademico, considerando che “postmoderno” è un termine usato con diverse declinazioni e significati in campi di studio diversi tra loro.
Scriveva Umberto Eco, in merito al postmoderno, nelle Postille al Nome della Rosa: «Credo tuttavia che esso non sia una tendenza circoscrivibile cronologicamente, ma una categoria spirituale, o meglio un Kunstwollen, un modo di operare. Potremmo dire che ogni opera ha il proprio post-moderno, così come ogni epoca avrebbe il proprio manierismo. […] L’avanguardia distrugge il passato, lo sfigura […] poi l’avanguardia va oltre. […] Ma arriva il momento da cui l’avanguardia (il moderno) non può più andare oltre, perché ha ormai prodotto un metalinguaggio che parla dei suoi impossibili testi (l’arte concettuale). La risposta post-moderna al moderno consiste nel riconoscere che il passato, visto che non può essere distrutto, perché la sua distruzione porta al silenzio, deve essere rivisitato: con ironia, in modo non innocente».
Sul carattere citazionistico dei prodotti postmoderni, ovvero della loro natura come processi di riscrittura, Veronica Pravadelli ricorda come dagli anni Ottanta il cinema americano abbia sviluppato più di ogni altra industria cinematografica questa tendenza/filone. Fa l’esempio dei fratelli Coen, che con Blood simple del 1984 mescolano tra loro diversi generi (operazione tipica del cinema americano di quegli anni: Una vedova allegra… ma non troppo di Jonathan Demme, 1988; Un lupo mannaro americano a Londra, John Landis, 1981), commedia, noir e horror. Il loro Mister Hula Hoop si regge invece sul citazionismo di film e autori della commedia americana (Capra, Hawks, etc.), fino ad arriva a Ave, Cesare!, del 2016, in cui la citazione (qui in veste di vero e proprio omaggio) assume un carattere metacinematografico, di rappresentazione nella rappresentazione (come in Truffaut e Almodovar). Volendo affrontare il postmoderno in questa definizione, ovviamente, non può mancare un riferimento a Quentin Tarantino e Pedro Almodovar.
Ma quello che l’autrice sottolinea e indaga è l’ambiguità e le difficoltà intrinseche al terreno della postmodernità, impossibile – sembrerebbe – da identificare, definire e circoscrivere in maniera univoca. Lo fa chiamando in causa ricerche e saggi che sconfinano in contesti exra-cinematografici, come gli interventi di Susan Sontag raccolti in Against Interpretation, che mettono in luce la «nuova sensibilità» emersa in seguito alle nuove proposte nelle pratiche artistiche (la performance, l’happening), nella letteratura, nel cinema e nel teatro, a metà degli anni ’60. Centrale, in questa lettura, per il postmoderno è il nuovo rapporto che si instaura tra opera d’arte e spettatore.
In chiusura, a seguito del saggio sul dibattito del postmoderno, troviamo un saggio inedito, scritto appositamente per questo volume, “Le forme del cinema contemporaneo: postmoderno, postclassico, global”, dove il pensiero critico sul cinema postclassico viene elaborato esclusivamente in relazione al cinema (al contrario di quanto avviene per l’indagine sulla sensibilità postmoderna).
Veronica Pravadelli è professoressa di cinema all’Università Roma Tre.
È stata visiting professor alla Brown University e alla New York University.
La sua ricerca intreccia questioni teoriche e storiche in relazione all’analisi del film e il cinema hollywoodiano, il women’s cinema e il cinema d’autore italiano.
Tra le sue ultime pubblicazioni, Women’s Cinema and Transnational Europe (2016) e Il cinema delle donne contemporaneo tra scenari globali e contesti transnazionali (2018).Per Marsilio ha pubblicato La grande Hollywood. Stili di vita e di regia nel cinema classico americano (20183, Premio cuc-Limina, Premio Maurizio Grande), tradotto in inglese dalla University of Illinois Press con il titolo Classic Hollywood (2015).