Il vento ricco di salsedine e l’instabilità delle onde del mare: su questi ritmi naturali intraprende il viaggio l’artista Ernesto Tatafiore, che con il suo bagaglio di opere più tarde e più giovani, alloggerà a Casamadre, nel golfo partenopeo, fino al 14 Luglio.
Sembrerebbe un ritorno ad Itaca l’approdo dell’artista tra le accoglienti mura della galleria da cui aveva spiccato il volo nel 1969, quando era Lucio Amelio che sapientemente dirigeva l’orchestra dell’arte a Napoli. Tuttavia, per quanto carezzevole sia l’abbraccio dell’antico grembo materno, la stagione dell’esplorare è per Tatafiore imperitura: con passo deciso ma soave, lascia tracce indelebili senza solcare duramente il manto del suo mare. La mostra si propone come una mappa di tesori di viaggio dell’artista: rimescolando le carte del tempo si avvicendano opere che sono gli approdi dell’ indagare il suo io con la materia artistica. Niente sembra avere fissità nello spazio e nel tempo, tutto appare vulnerabile a leggeri bisbiglii dell’aria o a dita curiose: il benvenuto è celebrato da pendenti icone che rievocano il comune gesto napoletano dei “panni appesi”. Si fronteggiano, poi, composizioni degli esordi, come due antitesi delle sedie – rigorosamente precarie per non indurre in errore suggerendo l’idea di sosta – incorniciate da una grande balena, che dialogano con stoffe di recente manipolazione. Queste a loro volta hanno intessuto nelle loro trame i ricordi di viaggio da Londra, da cui provengono, fino all’India, dove sono state prodotte. Le tele diventano leggere, seducenti, sinuose come le forme di donne che appaiono su di esse e fanno da protagoniste nel repertorio figurativo di Tatafiore.
Tuttavia, nonostante i molteplici “giochi balordi degli incontri e degli inviti” che la vita propone, l’artista, come Ulisse, mai offusca il legame con la sua patria.
“Sempre devi avere in mente Itaca –
raggiungerla sia il pensiero costante”:
sembra che il nuovo Ulisse disegnato da Kavafis sia il Tatafiore che riempie le tele di quella energica emozione che irrompe come un Vesuvio singhiozzante di lava.
Gli effervescenti moti delle sue pitture non sfociano, però, in disegni scomposti e liberi: la linea, fedele compagna, conclude ogni forma, che si manifesta chiara, definita e leggera. Questa è la soluzione artistica del pittore per indagare una realtà, invece, fragile e vacillante. L’ingannevole semplicità della produzione sembra sia la messa in atto della lezione calviniana: “Prendete la vita con leggerezza, che leggerezza non è superficialità, ma planare sulle cose dall’alto[…]”.
Il delicato gesto dell’artista sa modellare anche sculture in ferro. La materia si piega alle visioni di Tatafiore come fosse carta, senza tuttavia compromettere la sua forza emotiva e concreta. L’intero corpus dell’artista sembra un bilancio osmotico tra gli opposti che genera equilibri ideali.
Le intense campiture delle pitture sono un decisivo stimolatore della vista, imprimendosi nel tempo come memoria fotografica e intima.
L’artista non ci lascia a mani vuote, ma ci incorona nuovi entusiasti esploratori dell’animo umano e delle sue fantasie. D’altronde già Proust insegnava che “il vero viaggio di scoperta non è cercare nuove terre, ma avere nuovi occhi”.
Info utili
Casamadre
Palazzo Partanna, Piazza dei Martiri 58
Napoli
Fino al 14 Luglio