Domino, esce al cinema l’11 luglio il nuovo film di Brian De Palma, ma il regista di Scarface e Carrie l’ha già rinnegato
Vita dura per i maestri che hanno fatto grande il cinema americano degli anni ’70. Gli anni ’80 li hanno messi a dura prova, i ’90 in parte li hanno riabilitati agli occhi del grande pubblico, dai 2000 in poi invece… Il baratro, o per citare Harry Brandt: “Box Office Poison”. Resiste solo Spielberg, il più furbo. Un giorno, poi, rivaluteremo Un’altra giovinezza e Tetro di Coppola (Twixt… chissà), le retrospettive servono a questo, per sbandierare i capolavori riscoperti.
Di De Palma forse non riabiliteremo Mission To Mars, ma sicuramente Passion e Redacted (passato inosservato e subito dimenticato nonostante il Leone d’Argento a Venezia 64), e quasi sicuramente anche questo Domino, già stroncatissimo dalla critica internazionale.
Il progetto originale aveva una durata di circa 2 ore, al cinema invece Domino arriva tagliuzzato a 89 minuti. Ritardi, problemi di budget e finanziamenti, differenti visioni creative… Quello che per De Palma doveva essere un film per batter cassa si è rivelato per sua stessa ammissione un incubo. Come è capitato a L’orgoglio degli Amberson di Welles o a Le Mépris di Godard (solo per citare due dei casi più notori, la Storia del cinema è piena di esempi del genere), il film giunge in sala con un montaggio profondamente diverso da quello pensato dal regista che in un’intervista dello scorso anno ha preso le distanze dall’intera produzione: «Domino non è un mio progetto, non ho scritto la sceneggiatura – e ha aggiunto – Non ho mai avuto un’esperienza così terribile su un set cinematografico. Parte del nostro team aspetta ancora di essere pagata dai produttori danesi. Il film è finito e pronto per uscire in sala, ma non ho idea di quello che sarà il suo futuro, al momento è nelle mani dei produttori. Questa è stata la mia prima esperienza in Danimarca, e anche l’ultima».
Copenaghen 2020, Christian Toft (Nikolaj Coster-Waldau) è un investigatore in cerca di vendetta per la morte del suo partner, ucciso da un membro dell’ISIS doppiogiochista al soldo di un agente della CIA, Joe Martin (interpretato da Guy Pearce). Ad aiutare Christian c’è Alex (Carice van Houten), investigatrice della polizia danese.
Terroristi che bramano la sovraesposizione mediatica, storie d’amore clandestine, vendetta e sete di giustizia: aggiornato alle tecnologie dei nostri anni (mitra usati come selfiestick, droni, etc.), Domnino ha in sé i meccanismi narrativi del più classico dei noir spionistici, ma a causa drammi produttivi com’era nella testa di De Palma, probabilmente, non lo sapremo mai. Quello che potremo vedere al cinema è un thriller dal ritmo pacato – ambientato tra Copenaghen e Marsiglia – che riunisce sullo stesso set Nikolaj Coster-Waldau e Carice van Houten, gli ormai celeberrimi Jamie Lennister e Melisandre del Trono di Spade.
La critica internazionale l’ha già stroncato senza pietà, e su certi aspetti (goffaggini, diciamo) è davvero difficile chiudere un occhio ma, con tutti i limiti del caso, basta questa versione tagliuzzata per riconoscere la forza di un cinema oggi abbastanza raro a vedersi. Questa versione ridotta porta con sé alcune incongruenze di scrittura, che a volte risulta meditabonda e poi, tutto a un tratto, fin troppo lesta, spedita; e alcune sequenze risultano ridicole, tanto da avere il sapore di una vendetta del regista contro i produttori (viste le dichiarazioni di De Palma, non fare della dietrologia risulta quasi impossibile).
La locandina che scimmiotta un già brutto packaging di Mission: Impossibile, ciliegina sulla torta, purtroppo non aiuta.Ma in questo rottame di film l’anima di De Palma si rivela nuovamente in tutta la sua visione cinematografica, per il regista la realtà si conferma come un diorama dove tutto sembra artificiale (strumentale): l’azione che vi si svolge è il mezzo per il disvelamento delle dinamiche dell’osservazione.
Inquadrature di sbieco, steady-cam, long-take e montaggio alternato, zoom e dettagli sottolineati dalle musiche di Pino Donaggio, e – ovviamente – le sempre amatissime inquadrature Split diopter: non manca nulla in questo Domino del cinema che ha fatto grande la filmografia di De Palma. Il suo è un cinema di pura coscienza visuale, ingannevole prima, disvelatore poi.
Se Hitchcock, Powell & Pressburger avessero fatto un’orgia, molto probabilmente, ne sarebbe uscito un film simile. Purtroppo però, quella che per ora ci è stata consegnata è solo la sensazione di un film depalmiano, un’idea. Ma, come cantava Fossati, non può morire un’idea: “aspetta da sé il tempo migliore / per crescere ancora”.