Chagall vedeva la poesia ovunque e ne rappresentava l’ineffabile mistero nelle sue opere d’arte. La poesia era per lui in ogni dove, nella natura e nella nostalgia, era nel sacro e nel divino, così come nel presente e nella memoria. La inseriva nelle sue opere e queste diventavano immagini poetiche che in molti, negli anni, hanno descritto come oniriche. Nato a Ljozna nel 1887 (e morto a Saint Paul de Vence nel 1985), torna oggi a casa con la mostra “La Bible” alla Libra Gallery di Minsk. Per la prima volta nella storia della capitale bielorussa, una mostra a lui totalmente dedicata.
Una collezione di quaranta litografie che possono essere definite bibliche. Le opere, infatti, illustrano gli eventi dell’Antico Testamento. Furono inizialmente commissionate negli anni ’30 dall’editore e mercante d’arte Ambroise Vollard.
Chagall, di origine ebraica, attraversò un secolo ostile alla sua fede senza mai rinnegarla. La vita per gli ebrei ai tempi della dominazione imperiale russa non era facile e l’atmosfera antisemita durante la seconda guerra mondiale lo costrinse, più avanti negli anni, a lasciare l’Europa per rifugiarsi in America. Eppure l’artista si approcciò alla fede, così come faceva con la vita, cercandovi la poesia e il mistero ultimo delle cose. Non fu mai ossessionato o appassionatamente religioso (ricordava con nostalgia il disappunto della famiglia nel vedere crescere nel piccolo Marc una predisposizione artistica invisa alla fede giudaica), ma sviluppò negli anni una fede pura e intima.
Questa purezza è nelle litografie in mostra a Minsk, toni pastello su sfondi che, a seconda della vicenda illustrata, sono scurissimi o chiarissimi. Il tratto di Chagall è inconfondibile: la sua arte bidimensionale, piena di simbolismo, non può essere racchiusa in nessuna delle correnti d’avanguardia del Novecento. Le sue opere ondeggiano sempre tra il fiabesco e l’onirico, con uno stile infantileggiante e sempre originale, carico di nostalgia per il suo villaggio d’origine.
Eppure c’è una nota diversa in queste opere rispetto alle precedenti dell’artista, è rappresentata, infatti, una sorta di serietà. L’artista non lascia che le figure, pur astratte, fluttuino nello spazio, ma le rende più ferme, salde a terra. Le illustrazioni assumono una connotazione quasi fotografica, o meglio, è come se Chagall avesse voluto fotografare i momenti descritti dalle immagini e lo avesse fatto cogliendo i protagonisti dei racconti sacri proprio nel cuore dell’azione con mezzi busti, figure tagliate o primissimi piani impossibili da racchiudere in una posa statica. Per fare qualche esempio, in “Mosè con le tavole della legge” e in “Mosè con le tavole della legge davanti al popolo” i fasci luminosi che fuoriescono dalla fronte del profeta sono appena un accenno (proseguono, certo, oltre l’immagine nella fantasia dell’osservatore); o ancora in “Angelo”, Chagall stilizza un volto angelico, mentre le ali (forse troppo grandi) entrano solo in parte nello sfondo della litografia.
Quando Ambroise Vollard chiese all’artista di illustrare le sacre scritture, Chagall fu colto da tale entusiasmo che intraprese anche un viaggio per conoscere di persona i luoghi della Bibbia. Visitò la Grecia, la Siria, l’Egitto e, ovviamente, la Palestina. Lui, che come gli ebrei della tradizione aveva in sé il destino del continuo errare di terra in terra (dall’Impero russo alla Francia, dalla Germania all’America), conobbe di persona la terra delle origini. E nonostante questo, nelle sue opere non è la Terra Santa ad apparire, a predominare in quanto luogo geografico, ma è ancora l’intimità di Chagall stesso, la sua anima, le sue memorie, la sua nostalgia e, ancora una volta, la sua poesia.
Sin dalla prima gioventù Chagallfu affascinato dalla Bibbia, gli sembrò sempre che questo libro fosse la fonte più grande della poesia di tutti i tempi poiché, dice nelle sue memorie, rappresentava per lui il meraviglioso racconto della natura e ne racchiudeva i misteri.
In mostra alla Libra Gallery sono esposti anche gli schizzi preparatori per le vetrate della sinagoga del centro medico ebreo di Kiryat Hadassah, vicino Gerusalemme.
Chagall cominciò il lavoro per le vetrate ormai settantenne, disegnava la storia dei dodici figli di Giacobbe, con uno spirito nuovo: aveva vissuto vedendo costantemente gli ebrei maltrattati e discriminati e ora rendeva loro, e a se stesso, un regalo, una promessa di gioia. Queste litografie sono, infatti, vivide e, dovendole proiettare in un immaginario di vetro, si può subito percepire come Chagall desiderasse regalare luce e armonia alla sinagoga.
Sebbene sempre su tema sacro, si nota subito che, nella mancanza di figure umane, Chagall vuole rispettare la tradizione ebraica che giudicava dissacrante la rappresentazione dell’umano in quanto rappresentazione del divino. D’altra parte, egli aveva già usato lungamente la simbologia di animali e oggetti nelle sue opere e qui la ripete con rinnovata passione. Ogni vetrata vuole raccontare la storia di un figlio di Giacobbe tramite simboli, colori e citazioni. Chagall studia i testi sacri che già conosce con attenzione. La vetrata rossa è quella di Giuda, e Giuda è un leone (“Giuda è un giovine leone”… “egli ha gli occhi rossi dal vino” Genesi 49: 9-13), Dan è un serpente (“Sia Dan un serpente sulla strada” Genesi 49: 16), mentre il blu scuro della vetrata di Simeone rappresenta la collera (“Maledetta la loro ira” Genesi 49: 7).
Le litografie sui temi sacri sono le più profonde e spirituali dell’artista. I protagonisti dei suoi disegni sembrano ancora pieni delle memorie dell’infanzia del pittore a Ljozna –vecchi barbuti, donne in gonne lunghe con fazzoletti attorno alla testa – ma assieme a questo le stesse immagini posseggono una qualche epicità biblica.
È interessante constatare come solo oggi, nel 2019, “La Bible” – mostra itinerante – si sia fermata finalmente nel paese natale di Chagall. La stessa Libra Gallery commenta: “le opere del nostro grande compatriota sono raramente esposte in Bielorussia, per questo motivo questa mostra è l’occasione di un regalo per tutti coloro che amano l’arte di Marc Chagall”. D’altra parte lo stesso Chagall, nonostante tutta la sua nostalgia, non volle mai più tornare a casa, sapeva che non avrebbe ritrovato nulla di ciò che ricordava. Ma i luoghi della sua anima rimasero per sempre quelli della sua infanzia e lui continuò a farli rivivere in ogni sua opera.