La sede cornica della Tate Gallery dedica la prima personale in terra britannica all’artista libanese Huguette Caland, con una selezione di 95 pitture e disegni realizzati fra i tardi anni Sessanta e i primi anni Ottanta. Fra istanze femministe e ricerca formale. Alla Tate St. Ives, fino al 1 settembre 2019.
Saint Ives, Inghilterra. «L’arte non è una parte della mia vita, ma è tutta la mia vita». Una dichiarazione che riassume la carriera di un’artista assorbita nella ricerca delle possibilità sensuali del corpo umano, punto di vista che l’ha condotta più volte verso un approccio assai disinibito sul tema dell’erotismo e del desiderio, espressi per tramite di pitture dai colori brillanti e gioiosi. Huguette Caland, esponente della pittura modernista femminile libanese (già omaggiata nel 2016 con una retrospettiva a Beirut), è, per ragioni anagrafiche, la più contemporanea, ma anche, per sensibilità personale, la più incuriosita dalle contaminazioni di stili differenti.
Nata a Beirut nel 1931, durante l’amministrazione francese su mandato della Società delle Nazioni, l’agiatezza della famiglia – legata all’ambiente politico francese tanto che il padre fu il primo presidente del Libano indipendente nel 1943 – le permise di frequentare i corsi d’arte presso l’Università Americana di Beirut negli anni Sessanta. Fino al 1975 la città e il Paese vissero anni di grande prosperità economica, ma anche sociale, di cui beneficò molto anche la cultura, con il Salon d’Automne del Sursock Museum e i numerosi galleristi privati che avevano scelto di aprire una sede nella Svizzera d’Oriente. Tuttavia, il soffocante ambiente familiare, legato a usi e costumi patriarcali, la spinse a lasciare il Paese e la famiglia nei primi anni Settanta, e a trasferirsi a Parigi (sarebbe tornata in patria solo nel 2013, per l’estremo addio al marito morente), dove dette inizio alla sua carriera d’artista e poté confrontarsi con colleghi come André Masson, Pierre Schaeffer e Adalberto Mecarelli, legati rispettivamente al Surrealismo, alla sperimentazione e alla scultura spazialista.
Qui la sua carriera di artista decollò definitivamente, assorbendo influenze che si tradussero in importanti lavori come quelli della serie Bribes de corps, legati all’espressività erotica riletta in chiave astratta e surreale, in una poetica sovrapposizione del corpo con il paesaggio naturale. L’origine di opere del genere risiede nel non sempre sereno rapporto della Caland con il proprio corpo, di cui non apprezzava le eccessive (a suo dire) rotondità. Questa abbondanza di forme morbide e rotonde, tradotte sulla tela a metà fra astrattismo e figurazione, e accompagnata da una tavolozza assai luminosa, contrastava con lo stereotipo femminile della donna magra (lanciato dieci anni prima dalla britannica Twiggy), e aveva precisi risvolti personali di liberazione del proprio corpo e di accettazione di sé, riaffermando anche la libertà di ogni donna di mostrare il proprio fisico per quello che è. Anche per tramite della brillantezza dei colori, queste opere esprimono gioia di vivere e una sensualità a tutto tondo, e nelle importanti proporzioni delle forme ricordano il plasticismo scultoreo di Rodin (che Calland poté studiare e ammirare nella retrospettiva del 1964 a Beirut). Scultura moderna, Astrattismo e Surrealismo si fondono in opere dal sapore informale, che volutamente lasciano da parte qualsiasi etichetta.
L’interconnessione fra corpo e paesaggio ribadisce l’appartenenza dell’uomo alla natura, il suo essere parte della fecondità dell’universo (nel senso del panteismo naturalista spinoziano). Un approccio che acquista maggior precisione nei disegni, più ancora che nei dipinti; qui il tratto di china lascia da parte lo spessore della pennellata e dà vita a una vera e propria danza di volti e parti anatomiche che a loro volta divengono fiori, foglie, montagne, pianure venate di sentieri, spaccature geologiche della crosta terrestre. Con meno veemenza di Niki de Saint Phalle o Louise Bourgeois, anche Caland fa comunque sentire la sua voce in materia di femminismo e sessualità, non disegnando comunque anche collaborazioni con il mondo della moda: a Parigi collaborò infatti con lo stilista Pierre Cardin, disegnando per lui una collezione di caffetani decorati con motivi ripresi dalla sua pittura erotica e sensuale. Un ulteriore segnale, portato in un mondo di stereotipi come quello delle passerelle, sulla necessità di affermare l’individualità del corpo.
All’interno della scena artistica femminile libanese del Novecento, Caland appartiene alla corrente più spiccatamente occidentale per quanto riguarda le questioni espressive: mentre Marie Hadad o Cici Sursock scelgono soggetti di area culturale mediorientale, lei preferisce seguire la traccia di Nadia Saikali, Seta Manoukian e Saloua Raouda Choucair, che guardano all’arte concettuale occidentale.
L’unicità della sua arte, come è stato notato, risiede nella profonda determinazione di Calland nell’essere se stessa, senza condizionamenti di sorta. Le ispirazioni sono state sempre metabolizzate in chiave personale, come l’omaggio a Michelangelo in Nous deux (1972) che con un astrattismo di gusto fumettistico riprende il particolare delle dita di Dio e di Adamo. La sua narrativa è legata al frammento, al breve istante dell’incontro, ma lascia comunque immaginare gli sviluppi di questi attimi, protesi verso l’eternità.