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Intervista a Emanuele Cappelli. Visione e design trovano casa a Roma

Intervista a Emanuele Cappelli, direttore creativo, consigliere accademico, nonché ideatore e direttore artistico del RUFA Contest che quest’anno ha avuto come ospite David LaChapelle.

Ha firmato nel 2018 l’Italian Pavilion della 75° Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia e nel 2019 l’Italian Pavilion del 72° Festival di Cannes. Da poco ha presentato nel cuore di Roma uno studio di brand design e comunicazione strategica che porta il suo cognome. Ecco chi è e cos’ha da raccontare ad ArtsLife.

Come nasce l’esigenza di aprire una residenza d’artista a Roma all’interno di uno studio di design?

L’idea è nata dalla voglia di diventare un riferimento per il design nazionale e internazionale, perché quando si sogna, si sogna in grande. L’esigenza di una residenza d’artista è emersa dalla collaborazione con RUFA – Rome University of Fine Arts. Per questa università curo da diversi anni la direzione artistica del RUFA Contest grazie al quale ho avuto la possibilità di entrare in contatto e instaurare un rapporto reale con artisti di fama internazionale. Tra questi c’è Shirin Neshat, artista iraniana che vive negli Stati Uniti. Shirin mi ha fatto capire quanto sia importante per lei ricevere ospitalità a casa di amici quando si trova fuori città. Avendo una casa abbastanza piccola, ho iniziato a pensare che la residenza d’artista potesse essere un luogo dove ospitare coloro con i quali condivido passioni e lavoro, l’idea è così diventata presto realtà. Da ragazzo io non apprezzavo Roma. A 21 anni ho iniziato a viaggiare per lavoro e facendolo ho capito che Roma non è come la descrive chi ci vive. Piano piano, nonostante fossi testardo e poco elastico, ho ammesso che il mio pensiero sulla città fosse sbagliato. L’amore per Roma è negli occhi, non nella quotidianità, perché Roma ha una quotidianità difficile. Nel 2015, passeggiando per le vie della città eterna, Stefan Sagmeister mi disse: “È la città più bella del mondo”. Io lo guardai stupito e risposi: “Anche Parigi non è male”. E lui replicò: “Io non ho mai pensato che Roma fosse brutta. Mentre di Parigi l’ho pensato”. In effetti questa città infinita, eterna, che ha sempre mantenuto i suoi segreti e la sua bellezza anche nei momenti più bui, è il luogo del nutrimento.

 

Due tappe importanti per lo studio Cappelli Identity Design sono sicuramente state la direzione creativa dell’Italian Pavilion al Festival di Cannes 2019 e dell’Italian Pavilion alla 75a Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia. Qual è stata la genesi di queste due commissioni e cosa ne ha tratto a livello di esperienza il tuo team?

Gran parte del merito è del committente. Il nuovo direttore generale di Istituto Luce – Cinecittà iniziò dal primo incontro ad essere molto esplicito sulle esigenze e le loro aspettative. Più che un brief, il nostro è stato un incontro informale che ha creato un diverso tipo di confidenza e la riunione è proseguita non più come una presentazione per conoscere il fornitore, ma come un’intesa da cui è nato un dialogo. Così abbiamo partecipato alla gara per Venezia e a quella per Cannes, vinte entrambe. Il team è stato maggiormente coinvolto per Cannes, dove ho chiesto un’adesione volontaria accettata da tutti. Questi sono progetti speciali ed è impossibile portarli avanti se non ci si mette il cuore. Non bisogna guardare l’orologio e devi amare quello che stai realizzando. Grazie al successo di Venezia siamo stati invitati a partecipare a Cannes, ma è con quest’ultimo che ci siamo aperti al mondo.

Italian Pavilion - Cannes 2019
Italian Pavilion – Cannes 2019


Quanto peso ha avuto l’arte nel tuo approccio al design e alla comunicazione?

Nonostante tutti i miei insegnanti, fin da giovanissimo, mi spronassero a scegliere il Liceo Classico, decisi di frequentare l’Artistico perché da sempre ho amato disegnare e costruire. La facoltà di Architettura ha stimolato quel rigore che avevo già appreso suonando il pianoforte, dipingendo, disegnando e giocando a calcio. Ma anche quella fu una scelta ispirata dal caso e dall’intuito: al momento di fare il test d’ingresso all’università semplicemente scelsi quello per cui c’era meno fila perché odio farle. Penso che anche il potenziale creativo della casualità sia un concetto affascinante. Mi ritrovai così a studiare Architettura, nello specifico Disegno Industriale. Il primo anno non mi ha entusiasmato, ma amavo disegnare. Sotto casa dei miei genitori, a Cinecittà, c’era un certo Emilio. Un signorino di 60 anni che lavorava con gli Studios. Io lo aiutavo a disegnare le serrande o le insegne che decoravano i negozi da riprendere e lui ogni tanto mi dava 5.000 lire. Così sono venuto a contatto con lo studio di comunicazione Serafini Adelchi che si occupava di pubblicizzare il Giubileo2000, Renault e le Cantine di Cerveteri. Nel frattempo studiavo Product Design all’università. Intorno ai 21 anni ho vinto due concorsi internazionali e sono stato chiamato a lavorare in un’agenzia per la parte packaging – si trattava di Virgilio Tin.it – e questo mi ha dato fiducia, avevo studiato tanto e sentivo uno nuovo slancio per questo tipo di attività.
L’arte è tornata nella mia vita a fine 2006, quando venni chiamato per il Padiglione Italia della Biennale di Venezia. Non si trattava ancora di una gara, ma di affidarmi la direzione creativa durante quella artistica triennale di Marco Balich. Ho avuto modo così di sfogare tutta la mia creatività. 6.200 metri quadri di allestimento che ho riempito con tutto ciò che desideravo: dall’Orchestra Filarmonica di Bucarest alle interazioni tra luci e testi sacri glitterati sui muri. Questa è stata una tappa fondamentale, ancora una volta guidata dall’arte, per ripensare a me stesso come professionista. Io non mi ritengo un artista, preferisco pensarmi un designer con orientamento artistico e così ho deciso di realizzare uno studio con questo tipo di indirizzo.

Il RUFA Contest, ormai giunto alla 5° edizione, è un altro dei successi firmati Cappelli e si distingue per l’importanza degli ospiti internazionali. Quest’anno è toccato a David LaChapelle. Come sei arrivato a coinvolgerlo?

Ogni anno propongo un tema per il RUFA Contest che affronta tematiche sociali. Nel 2019 è stato La Divina Estetica. L’umanità e l’estetica sono due valori che ci possono rendere felici.
Arriva così lo straordinario David LaChapelle.
In linea di massima funziona così: l’ospite riceve il tema per un Contest completamente dedicato agli studenti. Sono 8 mesi di lavoro e 3 selezioni che permettono di realizzare il sogno di incontrare artisti e autori che vediamo irraggiungibili.

Inserire didascalia Emanuele Cappelli con David LaChapelle - RUFA Contest 2019
Emanuele Cappelli con David LaChapelle – RUFA Contest 2019

L’Italia vive sicuramente un periodo particolarmente complesso dal punto di vista non solo lavorativo, ma anche politico e sociale. Qual è secondo te il ruolo che la comunicazione gioca all’interno di questo scenario e cosa prevedi o speri riservi il futuro?

La comunicazione è fondamentale e sta mostrando tutto il suo potere in questo momento storico. Credo che abbiamo fatto dei passi indietro troppo violenti e la comunicazione è stata utilizzata per manipolare la verità. È stata utilizzata bene la tecnica, ma per il contenuto sbagliato. Nonostante questo io non permetterei mai di limitare la libertà di espressione, tuttavia credo che questo stia succedendo in Italia così come in altri paesi cosiddetti “civilizzati”. Mi lascia perplesso il modo in cui subiamo, il fatto che non stiamo protestando a favore della libertà. Nel futuro apriremo gli occhi perché sono stati calpestati dei valori della vita. Uno di questi è l’umanità: se togli questa, uccidi la convivenza e l’educazione a ogni livello. Il grado culturale che abbiamo oggi, sicuramente maggiore rispetto al passato, ci porterà a ribellarci. Tra quanto? Quando avremo il coraggio di alzare la testa. Potrebbe essere una rivoluzione intellettuale, non necessariamente violenta. Abbiamo oltrepassato dei limiti. Renderci conto che certe libertà che oggi diamo per scontate potranno non esserlo più un giorno, aiuta a riscoprire e alimentare quella fiammella che abbiamo dentro. Anche il design rientra in questo discorso: se non c’è educazione, se non c’è rispetto e vige l’emarginazione, non c’è design. Il design è basato sul pensiero e sulla sua infinitezza, apertura. Quando si distrugge o si alzano i muri, muore il pensiero e trionfa la paura. Il design invece è conoscenza, è identità.
Questo momento storico critico nei rapporti sociali mi fa paradossalmente sentire vicino a molta più gente rispetto a prima. Mi ritrovo a parlare di argomenti delicati e dei miei valori con più persone. E questo me le fa percepire più vicine e mi fa sentire maggiormente partecipe. Questo è il modo di costruire un futuro.

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