Al Leopold Museum, il nuovo allestimento della collezione permanente si traduce in un monumentale, suggestivo affresco con i capolavori di un’epoca in cui l’arte incontrava la vita quotidiana. Dalla pittura al design, dalla letteratura alla psicologia, dipinti, documenti, mobili, incisioni, libri e opere di grafica raccontano l’epopea di Vienna capitale mondiale della cultura.
Lo ha scritto il grande Saul Bellow: nelle crisi, si è ancora più liberi di fare della propria vita qualcosa di straordinario. E nella crisi che l’attraversò all’inizio del Novecento, Vienna riuscì a diventare una delle capitali mondiali dell’arte moderna, del design, della letteratura, dell’architetture, della medicina; quel fermento culturale che va sotto il nome di Modernismo si sviluppò negli ultimi anni dell’Impero Asburgico, all’interno di un’Europa dilaniata dal nazionalismo, l’antisemitismo, le lotte operaie, dall’emergere del fenomeno dell’alcolismo su larga scala: si trattava, insomma, della problematica reazione sociale ai tanti disequilibri portati dall’avvento drammatico e convulso dell’industrializzazione e dell’urbanizzazione, che sconvolsero una civiltà agricola bimillenaria.
Il mondo della cultura s’interrogò per cercare eventuali soluzioni, o comunque per aprire un dibattito su quanto stava accadendo; personalità come Gustav Klimt, Egon Schiele, Paul Wittgenstein, Arthur Schnitzler, Sigmund Freud, portarono, in campi differenti, un contributo fondamentale allo sviluppo culturale europeo e non solo. Con la grande mostra Vienna 1900. Nascita della modernità, il Leopold Museum, tradizionalmente uno dei cuori pulsanti dell’identità viennese, celebra quell’epoca di fermento culturale nella vastità della sua portata, dalla pittura alla letteratura, dal design alla scultura, dal 1900 ai primi anni Trenta.
È certamente Gustav Klimt il volto più noto del Modernismo pittorico viennese, capace di innovare il paradigma dell’arte austriaca superando l’ormai accademica pittura storica e classicista, e dedicandosi assiduamente allo studio psicologico della figura umana, anche respirando il clima introdotto da Freud con i suoi studi in materia, e assorbendo quelle atmosfere descritte da Schnitzler nei suoi romanzi, a dimostrazione dell’osmosi culturale che caratterizzava la Vienna dell’epoca. La sua pittura ricorda il tardo Impressionismo e l’Espressionismo di van Gogh, e con quest’ultimo ha anche un’affinità concettuale: la pennellata sfuggente e indefinita non serve a studiare la luce, bensì lo stato d’animo. Mentre però van Gogh si concentra sulla natura, Klimt ha come oggetto d’indagine la persona, in particolare la donna, immergendola in un’atmosfera di attesa, di inquietudine per il clima che si respirava in Europa e che avrebbe portato alla Grande Guerra. Negli anni Dieci, la sua carriera, che purtroppo conosceva gli ultimi anni, entrò in una nuova fase prospettica, con l’adozione della composizione circolare per i quadri di grandi dimensioni, come nello splendido La morte, la vita (1910), rilettura dei trionfi macabri di trecentesca memoria.
Ma la Secessione, che fu un movimento di rottura, non ebbe carattere omogeneo, ma espresse differenti artisti con i loro personali approcci. Pregio della mostra, è mostrare queste differenze: Schiele indaga le pulsioni proibite dell’essere umano, in particolare quelle afferenti alla sfera sessuale, le cui proibizioni erano anche, in un certo senso, metafora della sensazione di costrizione che l’individuo avvertiva nella vita quotidiana di allora. La rottura delle convenzioni inserita in un’ottica di perseguimento della liberta dall’ipocrisia. E ipocrita (non diversamente da quella contemporanea, però), era la società europea del primo anteguerra, che teneva molto alle convenzioni borghesi, ma non si scandalizzava per lo sfruttamento delle masse operaie, e per il sostegno alle politiche coloniali e imperialiste dei vari governi.
Altro importante esponente di quella stagione pittorica, Richard Gerstl che assorbì la parte sanguigna del Romanticismo e quella malinconia già espressa dalla Scapigliatura e dalla bohème parigina; la sua pittura rifuggiva la disciplina, le convenzioni, mentre invece indulgeva nell’indagine psicologica dei soggetti, fossero persone o paesaggi, fermando sulla tela quelle tensioni che percepiva nel clima del tempo. Una pittura “d’opposizione”, la sua, che per tramite di una pennellata pastosa dalle accese cromie e le prospettive dissonanti, porta in superficie il lato brutale e barbarico dell’individuo.
Due intere sale, sono al momento dedicate a Oscar Kokoschka, nelle cui opere si percepisce la tragica forza del suo espressionismo, cui si era avvicinato non condividendo le atmosfere rarefatte della Secessione: corpi deformati, sguardi allucinati, bocche aperte in dolorosi lamenti, questa moderna rivisitazione di una tematica religiosa esprime tutta l’inquietudine per una situazione sociale e politica che appariva senza via d’uscita. Accanto ai grandi maestri, anche interessanti opere di autori meno noti come Rudolf Wacker, Otto Rudolf Schatz, Grete Freist, che precorsero la Nuova Oggettività.
Il Modernismo intendeva portare l’arte in ogni settore della vita, ivi compreso l’arredamento; nacque il concetto di design, di arte applicata all’utile, e tra le figure di spicco del design austriaco modernista, troviamo l’eclettico Koloman Moser, che, architetto di formazione, ambiva a riformare la cultura delle arti applicate, sin lì percepite come discipline di secondo piano rispetto alla pittura e alla scultura. Per questo, nel 1903, insieme a Josef Hoffmann e Fritz Waerndorfer, fondò la Wiener Werkstätte, ovvero un laboratorio cittadino di formazione e produzione in fatto di design, che oltre alla qualità dei prodotti garantisse anche un rapporto diretto fra il creativo, l’artigiano e il pubblico degli acquirenti. Una sorta di “filiera corta” ante litteram che tutelasse i guadagni degli artigiani, verso i diritti dei quali Moser si dimostrò sempre molto sensibile.
La mobilia, i gioielli, l’oggettistica (dal vasellame, alle stoviglie, ai posacenere) disegnati da Moser colpiscono ancora oggi, a distanza di oltre un secolo, per la modernità della forma che li fa apparire come concepiti appena ieri. Funzionalità e sobrietà sono le linee guida della sua concezione del design. Il grande successo della Wiener Werkstätte, sancì una volta per tutte la “parità” delle arti applicate con la scultura e la pittura. Per la prima volta, anche un mobile o un vaso assurgevano, nella percezione del pubblico, a opera d’arte, non soltanto in virtù delle raffinate decorazioni moderniste applicate sui materiali, ma anche e soprattutto perché alla base della loro creazione stava il pensiero artistico di un professionista del settore.
A completare la vasta panoramica della mostra, una sezione documentaria dedicata al mondo della letteratura e del pensiero: da Schnitzler a Musil, da Weininger a Freud, il racconto dei cambiamenti nel sentire sociale, pulsioni e nostalgie, paradossi e utopie; autori che hanno lasciato opere affascinanti, controverse e per certi aspetti inquietanti, specchio di un’epoca difficile e dolorosa, eppure affascinante.
La mostra, che conta circa 1.300 pezzi, dalle pitture agli oggetti di design, dalle sculture alle opere di grafica, restituisce un’epoca con la sua atmosfera, le sue tensioni, i suoi dubbi, i suoi entusiasmi, e costituisce il climax delle celebrazioni per i cento anni del Modernismo Viennese, una stagione fu interrotta con violenza dalle interferenze naziste sull’Austria nei primi anni Trenta, preludio all’Anschluss del 1938.