Una mostra al Wien Museum (nella sede di Fedelstrasse) racconta una fase storica poco ricordata e conosciuta, d’interludio fra la grandezza dell’Impero Asburgico e la tragedia dell’occupazione nazista: l’esperienza socialista a Vienna nella nuova Austria del 1919, nata sulla scorta del Trattato di Versailles. Un quindicennio di progressi sociali e urbanistici, che furono un modello anche per il resto d’Europa, tragicamente interrotti dall’avvento del nazismo. Fino al 19 gennaio 2020.
All’indomani della Grande Guerra, terminata con la dissoluzione dell’Impero Asburgico, Vienna era una città impoverita, sia materialmente sia spiritualmente; quattro anni di sacrifici risolti soltanto in circa 800.000 caduti; fame, indigenza e disoccupazione erano le realtà quotidiane più diffuse, oltre a un profondo senso di smarrimento adesso che con la caduta degli Asburgo finiva un sistema politico e sociale che aveva plasmata l’esistenza di milioni di cittadini, in particolare dei viennesi. Idealmente, la mostra rappresenta una sorta di prosecuzione di Vienna 1900, che al Leopold Museum racconta il periodo dal 1900 al 1918, quello ultimi bagliori artistici e intellettuali della Vienna imperiale.
In quel 1919, i vuoti morali e materiali erano purtroppo assai vasti, e da quella profonda crisi la società provò a reagire con un cambiamento epocale della rotta politica, quando alle elezioni municipali di Vienna del maggio 1919 la maggioranza dei votanti si espresse per il Partito Democratico dei Lavoratori. Cominciava così, con l’amministrazione di Jakob Reumann; prendeva avvio un nuovo corso che sarebbe durato un quindicennio, e che la mostra Vienna Rossa. 1919-1934, curata da Werner Michael Schwarz, Elke Wikidal e Georg Spitaler, offre l’opportunità di rivivere attraverso documenti, fotografie, filmati, opere d’arte, quindici anni di politica comunale orientata a sinistra applicata però con pragmatismo e onestà intellettuale, che portarono con sé importanti cambiamenti nelle condizioni di lavoro degli operai, nonché una maggiore giustizia sociale, a cominciare dal fisco.
Quindici anni che, grazie al vasto programma di edilizia popolare avviato da Reumann modificarono il volto della città secondo i canoni del moderno e funzionale razionalismo architettonico; sorsero interi nuovi quartieri, come il Karl Marx Hof, simbolicamente intitolato al teorico delle rivoluzioni operaie; nuovi quartieri che alleviarono sensibilmente il problema dell’emergenza abitativa, visti i tanti austriaci che per sfuggire alla povertà degli anni della guerra, avevano lasciato le campagne per trasferirsi a Vienna in cerca di lavoro. Indubbiamente i numerosi cantieri crearono occupazione, ma per amplificarne gli effetti si preferì costruire i nuovi edifici con i tradizionali mattoni, anziché con il cemento armato; questo perché le fabbriche di mattoni viennesi potevano impiegare maggiore manodopera rispetto ai cementifici. Il risultato fu comunque anche quello di una maggiore qualità degli edifici, poiché i mattoni permettono una migliore climatizzazione degli ambienti rispetto al cemento armato. A documentare l’espansione urbana di quegli anni, decine di fotografie originali dei cantieri e dei nuovi complessi, oltre ad alcuni plastici in scala. Il razionalismo si unisce alla creazione di edifici e quartieri aperti alla vita sociale, con ampi spazi comuni come sarebbe stato a Berlino anni più tardi con l’esperienza del Bauhaus. A Vienna si fu pionieri, e le nuove realtà contribuirono a ricreare la coesione sociale, oltre che a educare i cittadini al rispetto dei beni comuni.
Circa 60.000 nuovi appartamenti furono costruiti in città dal 1919 al 1934, attraverso i quali si può osservare l’interazione fra l’ideologia marxista e il pragmatismo politico che l’ha applicata. La mostra, più documentaria che artistica, ha però un allestimento dinamico che la rende gradevole e non accademica, facilitando il pubblico a cogliere il valore civile di quell’epoca, in cui una riforma scolastica e un vasto piano dedicato all’infanzia e all’adolescenza (in campo educativo, ma anche ludico e sanitario), che fruttò piani scolastici più avanzati e approfonditi, la costruzione di complessi sportivi per le scuole come palestre e piscine, lo sviluppo di programmi artistici dedicati agli studenti; modelli che ispirarono riforme simili (ma più blande) anche nel resto d’Europa, ad esempio in Francia.
I fondi per questi programmi sociali furono reperiti in buona parte grazie a una vera e propria “tassa sul lusso”, approvata nel 1927, che imponeva prelievi sulle classi più ricche, colpendo beni di consumo quali le automobili, lo champagne, i domestici; una tassa dal carattere marcatamente ideologico, è vero, ma utilizzata per un reale sviluppo sociale, e non per mera coercizione dei ceti più ricchi. Sino ad allora, la municipalità si era comunque impegnata con fondi propri nel portare avanti questi programmi, che però non sempre si erano dimostrati sufficienti, e il 15 luglio del 1927, ad esempio, si ebbero violenti scontri tra le forze dell’ordine e gli operai in sciopero; la tensione raggiunse livelli tali che la polizia aprì il fuoco uccidendo 84 persone, in una tragica riedizione della Domenica di Sangue di pietroburghese memoria. Per riportare la calma, il comune varò la tassa di cui sopra, ma l’episodio era comunque sintomatico di una situazione che si andava logorando e che risentiva dell’inquietudine di un Paese, l’Austria, il cui governo centrale, dopo una sola legislatura era tornato nelle mani dei conservatori cristiano-democratici, ma soprattutto delle tensioni di un’Europa che andava assumendo caratteri sempre più ostili al socialismo.
Per questa ragione “l’isola rossa” viennese, che resisté fino al 1934, rappresenta anche una coraggiosa pagina di impegno civico contro i massimalismi conservatori, e dall’altro un felice tentativo di applicazione della dottrina marxista nel rispetto delle esigenze dell’individuo; non tutto nella pratica ebbe buone sito, a cominciare dalla strage del luglio del ’27, ma nel complesso, pur con il suo tributo di sangue, l’esperienza socialista a Vienna fu positiva. Anche nel campo dell’emancipazione femminile si ebbero notevoli progressi: a seguito dell’introduzione del suffragio universale in Austria (da parte del primo governo socialdemocratico del 1919), alle elezioni municipali viennesi, 22 dei 165 membri del consiglio cittadino erano donne, 16 delle quali della maggioranza comunale socialdemocratica, ampiamente sostenuta anche dalle tante donne operaie che il nuovo assetto sociale aveva creato.
Anche a livello socioculturale furono create strutture aggregative nei vari campi, dalla Radio dei Lavoratori alle associazioni per la salvaguardia della natura; generalmente furono guardate con favore dal mondo intellettuale, nonostante il loro carattere ideologico, anche se non integralista. Tuttavia, il mondo dell’avanguardia artistica viennese, in particolare gli Espressionisti, pur avendo idee di sinistra, non ebbero mai particolari attenzioni da parte socialdemocratica; un po’ perché le priorità erano probabilmente altre, ma anche perché quel tipo di arte non interessava, essendo anche lì prevalente il conservatorismo estetico.
Incontravano maggiore gradimento artisti come Anton Hanak o Franz Barwig il Vecchio, scultori d’ispirazione accademica e naturalista ma assai evocativa: il bronzo di Hanak L’ultimo uomo, del 1924, rappresenta una sorta di crocifissione laica, la metafora della condizione operaia nell’Europa degli anni Venti, mentre il Giovane uomo di Barwig, anche’esso del 1924, è un novello David o Perseo che, metafora di un proletario, ne incarna le nuove conquiste sociali. Due volti di una fase importante della storia recente europea, che vide la nascita di riforme improntate alla giustizia sociale, e che pur in mezzo a errori e spargimenti di sangue rappresentò una sorta di enclave in un’Europa prevalentemente conservatrice. L’ascesa del nazismo in Germania e le mire espansionistiche sull’Austria portarono, anche prima dell’Anschluss, a gravi interferenze nella vita politica del Paese, e a Vienna l’ultimo il secondo sindaco socialdemocratico, Karl Seitz, si dimise nel 1934, dopo undici anni e tre mandati (il terzo interrotto).
Pur confinata in appena quindici anni, quella fase storica è stata importante, e la bella mostra viennese ne omaggia i protagonisti e, con rigore storico, ne documenta i lati positivi e quelli negativi, ma al di là delle valutazioni di carattere politico, è doveroso riconoscere l’onestà intellettuale con cui la dottrina socialista fu applicata a Vienna. Un’onestà che l’Europa non sempre avrebbe conosciuta in futuro.
Vienna Rossa. 1919-1934
Fino al 19 gennaio 2020
www.wienmuseum.at