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Il leghista Claudio Borghi è uno speculatore finanziario che ama il mercato dell’arte

claudio borghi_artslife

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In verità, ci ha pensato lui stesso, Claudio Borghi, a dare le informazioni, con tre tweet. Il primo è del 28 settembre 2018: «Per la prima volta dopo molti anni sto ricominciando a comprare. Come sempre non è un consiglio, ma un’informazione che vi sto dando». Il secondo è di pochi giorni fa, il 28 agosto 2019: «Quasi un anno dopo ho venduto i titoli di Stato che avevo comprato. Anche in questo caso non è assolutamente un consiglio, ma una semplice informazione, che vi do in totale trasparenza».

La notizia, secondo Bloomberg e Huffington Post, starebbe nel mezzo, perché Claudio Borghi, presidente leghista della Commissione Bilancio della Camera dei deputati, avrebbe fatto un guadagno attorno al 25 per cento del suo investimento in Btp, grazie alla crisi di governo e alle (per ora) mancate elezioni chieste da Matteo Salvini. L’esperto di mercati finanziari Holger Zschaepitz ha sottolineato come Borghi avesse comprato i titoli di Stato italiani decennali quando i rendimenti erano del 3,15 per cento, per venderli ora di fronte a un rendimento inferiore all’uno per cento. Dove sta il peccato? Da nessuna parte. L’operazione è perfettamente legittima. I suoi detrattori sostengono solo che avrebbe «tratto profitto», come scrive l’Huffingotn Post, «dalla discesa dello spread che era salito anche per le sue dichiarazioni sul deficit oltre il tetto pattuito con l’Ue, gli attacchi al ministro Tria e le allusioni sull’Italexit». Borghi ha risposto con un terzo tweet alle insinuazioni di Zschaepitz e giornalisti: «Direi che ho realizzato un guadagno considerevole, scommettendo sull’Italia e sul mio governo per un anno. Ora dipende tutto dal nuovo governo. Spero che avranno lo stesso successo». L’agenzia Bloomberg, dopo avegli fatto i conti in tasca, insiste: «Ha realizzato sostanziosi profitti con la scommessa sbagliata di Salvini». E lui, di rimando: «Assurdo. Li ho venduti quando è stato dato l’incarico a Conte. Se si fosse andati a elezioni li avrei tenuti».

Claudio Borghi ci naviga da sempre abbastanza bene nelle spire velenose delle polemiche e nei mari perigliosi dei mercati. Un po’ vanitoso (secondo Vanity Fair) e molto permaloso (secondo i suoi amici), è uno che ha snobbato la Bocconi ed è diventato agente di cambio ad appena 19 anni, inseguendo i suoi sogni da bambino. La foto del suo profilo twitter parla chiaro: una vecchia banconota da diecimila lire con sopra la faccia di Michelangelo. Solo che al posto del grande artista c’è Claudio Borghi. Lombardo al cento per cento, classe 1970, cresciuto a Carnate, nella Brianza, e residente a Como, fin da piccolo coltivava l’ambizione, abbastanza desueta a quell’età, di lavorare in Borsa. Ex broker, ex manager della Deutsche Bank, mica di una qualunque, ex docente alla Cattolica, oggi è diventato un profeta di sventura dell’euro. Con gli investimenti ci sa fare, in tutti i sensi, molte volte suscitando qualche vespaio. Tifa Italexit come nessuno, amato e voluto per questo da Matteo Salvini, ma aveva investito i suoi risparmi in titoli e obbligazioni estere. Grande giocatore di Risiko, è un collezionista d’arte che ha voluto condividere con gli altri questa sua passione, intesa anche come capacità di investimento (gira e rigira siamo sempre lì: questo è il suo chiodo fisso e il suo talento), scrivendo un libro che dice tutto già dal titolo: «Investire nell’arte. Il nuovo oro. Come salvare i propri risparmi dalla crisi».

In quelle 202 pagine ha cercato di dimostrare come oggi un quadro possa essere meglio dell’oro e del mattone e che è possibile fare acquisti soddisfacenti e redditizi anche solo con qualche migliaia di euro. Il mercato dell’arte, spiega, è un settore in forte crescita, con una base di appassionati che si allarga sempre di più e un ampio ventaglio di offerte, dai cataloghi on line, alle aste televisive e sul web, dai forum specializzati alle gallerie. Come se non bastasse, «chi investe ha anche interessanti vantaggi fiscali». Più dell’arte conta il guadagno che si nasconde nella sua bellezza? Forse è giusto così e al diavolo ogni ipocrisia. Da Aristotele e da Kant e Hegel ai giorni nostri, il significato della parola speculazione e del suo verbo è profondamente cambiato. Se assieme al valore della parola è cambiato anche quello degli uomini, non possiamo fare altro che rassegnarci. Così siamo passati da «Attività di pensiero relativa a una sfera teorica d’indagine e di approfondimento» a una «Operazione finanziaria o commerciale consistente nell’acquistare per rivendere o nel vendere per ricomprare, con il fine di conseguire un profitto dalla differenza di prezzo in diversi momenti del mercato». Cioé, quello che è capitato involontariamente a Claudio Borghi.

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