Fino al 29 settembre, lo Spazio Search in Largo Carlo Felice 2 a Cagliari ospita un’esposizione di oltre 80 fotografie raffiguranti la vita in alcune comunità agro-pastorali sarde, scattate tra il 1905 e il 1927 da Max Leopold Wagner, insigne linguista e antropologo tedesco.
Annoverato tra i padri della linguistica storica e della geografia linguistica, Wagner soggiornò su quasi tutto il territorio regionale nel corso di ripetuti viaggi. Immergersi il più a lungo possibile all’interno delle comunità: questa la prassi che, da inclinazione spontanea, divenne per Wagner metodo scientifico. Non semplice compilatore di una lista di parole, ma testimone oculare della vita quotidiana in Sardegna.
Un ruolo di rilievo nell’indagine fotografica di Wagner è occupato dalla figura femminile, spesso ritratta durante i lavori domestici.
Duro lavoro e grande sensibilità: questa l’essenza della donna sarda secondo Wagner. Alle donne lo studioso attribuisce l’invenzione dei testi per i mutos, canti d’amore malinconici per alleviare la fatica del lavoro. «le lacrime sono acqua, i sospiri sono vento; smettila! se hai sentimento, non parlare d’amore».
I villaggi sono il luogo dove Wagner incontra donne, anziani e bambini: assenti gli uomini e i giovani in forze. Per documentare le loro attività bisogna raggiungere la campagna – è qui che si incontrano falciatori di grano – o il mare coi suoi pescatori di murene.
Gli scatti di Wagner, realizzati con una camera 9×12, sono spesso fuori fuoco e si contraddistinguono per una certa trascuratezza tecnica a dimostrare il valore principalmente documentale che Wagner attribuì alla sua opera. E tuttavia, nonostante i difetti di sovra o sotto esposizione, la collezione vanta degli scatti di indiscutibile modernità, come nel caso del falciatore di grano di Mogoro.
Quello che gli studiosi hanno ipotizzato è che il lavoro di Wagner sia suddivisibile in tre livelli: all’inizio, lo sguardo più ampio possibile sul villaggio o la città (riscontrabile nelle numerose vedute della città di Nuoro); in seguito, uno sguardo ravvicinato e rivolto agli abitanti del villaggio nelle loro attività al di fuori delle abitazioni; infine, quando possibile, le immagini più intime di interni casalinghe, vere stanze di vita quotidiana.
Una spiccata predilezione per i villaggi rurali lo portò a vivere per molti anni nei piccoli centri, osservando con occhio acuto la vita misera dei contadini e dei servi pastori. Non mancarono però i soggiorni nelle più grandi città della Sardegna, come Sassari e Nuoro e, certamente, nel capoluogo sardo, Cagliari. Le palafitte dei pescatori sullo stagno, i picciocus de crobi (giovani abbandonati dalle loro famiglie e, per questo, costretti a vivere di espedienti), giovani donne incredibilmente sorridenti alle prese con i lavori domestici, sono solo alcuni dei protagonisti della Cagliari degli anni venti del secolo scorso.
La mostra, curata da Illisso Edizioni in collaborazione con l’Istituto Superiore Regionale Etnografico, è visitabile fino al 29 settembre. L’ingresso è libero.