New York. Nella parte settentrionale di Brooklyn sorge un quartiere che, negli ultimi anni, si è reso protagonista di una fiorente escalation estetica, la cui manifestazione più emblematica sono i numerosi esempi di street art che circondano i passanti dando vita ad una vera e propria galleria d’arte all’aperto. Qui, ormai da qualche mese, ha trovato sede lo studio di Marco Pariani (1986), uno dei giovani artisti italiani più interessanti nel panorama internazionale, cresciuto in un piccolo paese a quaranta minuti di macchina da Milano, circondato da “situazioni di strada, droghe e mediocrità”, e trasferitosi nei sobborghi newyorkesi alla ricerca della consacrazione artistica.
Mi accoglie al di fuori dell’edificio in cui ha sede il suo studio guidandomi poi tra i corridoi dello stabile sino ad una stanza, più lunga che larga, alle cui parete sono appoggiati i suoi grandi formati. Osservando le tele subito noto come prediliga l’utilizzo di quel vocabolario formale tipico dell’espressionismo astratto, senza però rinunciare alla personalizzazione attraverso l’utilizzo di gesso, colori acrilici e spry.
Adora i contrasti cromatici risultanti dalle sue elaborazioni. Una tavolozza contenuta ma ricercata. Non a caso ci tiene a precisare come sia studiato a fondo l’utilizzo di ciascun colore: “quel verde non è lo stesso che ho utilizzato nella tela precedente. Può sembrarlo, ma non lo è. E’ più brillante , è più acceso e vivace e, non per niente, è più costoso”. E’ per questo motivo che, per quanto possano sembrare uguali tra loro, le sue opere rinnovano sempre l’interesse di colui che le sta osservando. Ciascun lavoro, con i suoi gesti pittorici drammatici ed espressivi, ci colpisce ogni volta grazie a quelle sottili variazioni che donano un’affascinante originalità ad uno schema che appare ripetitivo soltanto a chi, per citare il filosofo americano Thoreau, “guarda ma non vede”.
I rituali passaggi tecnici, circoscritti ad uno specifico spazio all’interno del quale viene inserito l’evento pittorico, fanno sì che l’osservatore possa riconoscere una disciplina di composizione costante. Tuttavia, i suoi gesti pittorici sono sempre diversi, significanti di una spontanea libertà intrinseca. Così il contrasto, leitmotiv della sua poetica, non si manifesta solo nei materiali o nei colori ma, concettualmente, anche nel processo di creazione che si nutre di quel precario ma costante equilibrio tra “componente seriale e vitalità pittorica”. Se la memoria collettiva ci rimanda a de Kooning, sicuramente uno degli artisti che più lo ha segnato durante il suo percorso accademico, Pariani, allo stesso modo, non nega di sentirsi influenzato anche dallo stile dei suoi coetanei, uno su tutti il collega e amico Robert Nava, lo scorso novembre protagonista con lui, e con Lauren Taylor, della collettiva “Person, Place, or Thing” alla Safe Gallery di Brooklyn.
Lo stile di Pariani è il risultato di molti anni di lavoro e di “tante tele finite nella spazzatura” ma il percorso compiuto dall’artista fino ad ora ha fatto sì che maturasse in lui la consapevolezza del potere della pittura, espressione di libertà e felicità. E’questo ciò in cui crede l’artista ed è questo ciò che riesce a trasmettere con un profondo senso empatico e con una sentita partecipazione emotiva che, attraverso i suoi segni e le sue pennellate, trascende limiti della tela interagendo con chi la osserva.
In un sistema dell’arte che sembra riconoscere più di gran lunga l’attività di alcuni artisti che, in modo distaccato, sfornano opere come fossero pagnotte, col solo scopo di soddisfare la domanda e senza pretese di una ricerca stilistica e introspettiva, Marco Pariani va avanti per la sua strada, bombardato dagli stimoli e dalle ispirazioni che gli regala la Grande Mela, audacemente convinto della potenza espressiva della pittura e dell’Arte.