Da Creta -veneziana e bizantina- El Greco approdò in Spagna dopo un lungo soggiorno in Italia, che gli permise di sviluppare uno stile che non fosse completamente assorbito dal barocco e dal tardo manierismo.
Fra i più geniali pittori fra XVI e XVII Secolo, a Parigi la galleria del Grand Palais celebra El Greco con una grande retrospettiva di oltre 70 opere. Fino al 10 febbraio 2020.
Eclettico e geniale, Domínikos Theotokópoulos (1541-1614) è stato un punto di riferimento per la pittura d’avanguardia del primo Novecento, che lo riscoprì dopo tre secoli di oblio e consacrò definitivamente la modernità delle sue opere. Ardengo Soffici ammirava in particolare il suggestivo uso del colore, dei grigi “pietrosi” come dei rossi “smorti” e dei gialli “acerbi”; Alberto Giacometti e Amedeo Modigliani rimasero folgorati dalla plastica levità delle sue scarne figure; Picasso, invece, apprezzava quei drammatici contorsionismi che in parte lo ispirarono per le celebri Démoiselles d’Avignon. Bastino questi pochi cenni a spiegare la grandezza di questo pittore che nato a Creta (all’epoca chiamata Candia), si guadagnò lo pseudonimo di El Greco dopo essersi trasferito a Toledo nel 1577, ma prima visse dieci anni in Italia fra Roma e Venezia, dove studiò a fondo Tiziano e Michelangelo.
La sua formazione giovanile lo vede pittore di icone, nella tradizione dell’arte bizantina, ancora fortemente radicata nel possedimento veneziano a metà strada fra Grecia e Turchia; un apprendistato poco soddisfacente dal punto di vista creativo, ma che comunque gli permette di affinare la perizia tecnica nella riproduzione delle figure.
Il percorso della mostra si snoda fra gli inizi nella pittura votiva a Creta, il fondamentale decennio in Italia e l’approdo in Spagna, fra i soggetti religiosi e i grandi ritratti sulla scia di Tiziano, i dipinti su tavola e quelli su tela.
Una retrospettiva ben ramificata che permette di apprezzare la straordinaria evoluzione dello stile di El Greco, accompagnata da un notevole talento. Al suo arrivo in Italia la scena artistica è dominata dalla Scuola Veneta, in particolare da Tiziano, nonché dall’eco di Michelangelo, scomparso 13 anni prima ma ancora vivo con la grandezza della sua arte (e sarà così anche nei secoli a venire).
El Greco non è tardo manierista, non è barocco, non rinascimentale; è semplicemente El Greco, un pittore che riesce a fare del teatro sulla tela, un teatro come avrebbero saputo farlo Shakesperare, Artaud e Brecht, ovvero appassionato, febbrile, pieno di dubbi e sfiducia nell’umanità; nelle sue tele c’è tutto: scaltrezza che si legge nello sguardo del cardinale de Guevara, che testimonia della carnalità della Chiesa; c’è lo sguardo scettico della Vergine, splendida nel suo algido sussiego sottolineato dal velo azzurro; c’è la gravità dei nobili spagnoli, e c’è l’ardore assai temperato dei santi, che contrariamente all’usuale, con El Greco non sono né fanatici né febbrili. Sono individui in cerca di risposte, senza dogmi da cui attingerle. Pur nelle sue inquietudini di uomo che visse una drammatica età di passaggio fra Rinascimento e Controriforma, anche nella rigida Spagna trovò modo di esprimere il suo talento. Una delle sue opere più belle, La visione di San Giovanni. È una pittura sorprendentemente moderna, che anticipa Matisse, Picasso, Chagall e il Surrealismo, esprime la tragedia dell’umanità con la leggiadria formale del classicismo ma con un senso del colore che sarebbe stato compreso soltanto a distanza di secoli.
Pur con uno stile differente, possiede la medesima forza espressiva di Caravaggio; se l’italiano è sensuale e persino lussurioso, l’ispano-ellenico raggiunge pari livello emotivo ma su toni drammatici e inquietanti. Ma mentre a Roma il gaudente clero romano apprezzava Caravaggio, altrettanta fortuna non ebbe El Greco a Toledo, dove il malinconico e sussiegoso clero locale restava piuttosto freddo nei confronti di questa pittura che guardava alla modernità, ma soprattutto pareva foriera di dubbi così profondi da rischiare di mettere in discussione persino la stessa dottrina cattolica.
E non è un caso se anche gli Espressionisti austriaci Schiele e Kokoschka, per esprimere le loro angosce esistenziali abbiano avuto dei modelli di riferimento nelle figure emaciate di El Greco. Il quale seppe esprimere un malessere sociale, dovuto al clima di soggezione e persecuzione che la Controriforma stava tessendo su buona parte d’Europa, di cui si vedranno i tragici, materiali effetti nella follia, ad esempio, di Torquato Tasso.