Sotto mentite spoglie. E con uno strascico d’amaro in bocca. Il diavolo teatrante in visita a Mosca fa capolino sotto l’ombra bronzea della Torre Spirale di Pomodoro in Foro Buonaparte a Milano. Il Maestro e Margherita di Michail Bulgakov (prodotto dal Teatro Stabile dell’Umbria, con la regia di Andrea Baracco e la riscrittura di Letizia Russo) in scena al Piccolo fino al 27 ottobre. Dopo diversi anni di lavoro su Shakespeare, il regista di Civitavecchia porta in tournée uno spettacolo sempre tratto da un grande classico, ma contraddistinto da un’atmosfera e da una stratificazione di significati sicuramente diversa da quelle delle opere shakespeariane.
Tra i romanzi russi più importanti del Novecento, Il Maestro e Margherita è un’opera segnatamente eclettica. Composto dall’intreccio e incontro di due diverse trame, il romanzo funge da portale fantastico che catapulta il lettore in un mondo in bilico tra la realtà e la finzione in cui ci si perde e ritrova tra scene comiche, tragiche, grottesche. Tra i pensieri confusi, ma profondi, dei personaggi e i propri, scaturiti dalla forza e dalla stranezza delle parole dello scrittore. Due, come appena citato, le trame. Quella più o meno contemporanea alla stesura dell’opera: la vicenda dell’arrivo, nella Mosca degli anni 30, del professor Woland, bizzarro esperto di magia nera -che si rivelerà poi essere il Diavolo in persona- unita alla delicata storia d’amore tra il Maestro e Margherita. E quella che con un balzo spazio temporale (di ben diciannove secoli nel passato) ci conduce al tempo di Ponzio Pilato e del processo del filosofo chiamato Yeshua Ha-Nozri (alias Gesù il Nazareno).
Entriamo nell’opera “contemporanea”. Prima annotazione palese. I tagli (necessari, data la lunghezza del testo originale), presenti nella riscrittura di Letizia Russo, non risultano sempre efficaci. Anzi. Non mancano quelli compiuti in modo intelligente (in diverse scene una sola parola o una sola frase vengono lasciate come indizio di una profondità presente nel testo, senza intaccarne la complessità concettuale), ma prevalgono quelli azzardati. Più frequenti, più incisivi. Passino le due principali scene corali presenti nel romanzo (quella dello spettacolo di magia e quella del plenilunio di primavera) che, se pur intrinsecamente teatrali sono effettivamente estremamente difficili da ricreare su un palcoscenico (se non con un organico di attori dieci volte quello disponibile), quindi declassati a poche frasi. Ma non passi la poca attenzione data alla trama di Ponzio Pilato. In realtà, la prima scena in cui Pilato compare sul palco promette bene. Saggiamente costruita dal punto di vista coreografico e scenografico, non delude le aspettative e, anzi, le amplifica. Si attendono a questo punto le scene successive, la trasformazione e lo sviluppo del pensiero di Pilato, la lotta con la sua stessa coscienza che lo portano a far uccidere Giuda di Kiriat. Niente. Nessun intensificarsi della tensione narrativa della trama (nel testo così suggestiva e efficace) ma una successione di scene che costruiscono un climax vorticosamente discendente.
Per quanto riguarda la performance a livello complessivo, Baracco è, per sua tradizione, molto attento all’impatto visivo della recitazione dei suoi attori. Anche nel caso di questa messa in scena, è evidente la cura da parte sua nei dettagli dei movimenti e del linguaggio non verbale dei personaggi sul palco. Cura che raggiunge il suo punto più alto nella furia di Margherita, ormai strega, che si dondola avanti e indietro, con una foga irresistibile sull’altalena a centro palco. Baracco ha, inoltre, scelto per i suoi attori un recitativo piuttosto marcato che rimane per lo più bilanciato e che incontra la particolare atmosfera altalenante tra realtà e finzione che è propria del testo di Bulgakov. Acclamati (e di più, adorati) dal pubblico, anche i due accompagnatori del professor Woland, Korov’ev e Behmot: simpatici personaggi macchiettistici ricreati come da manuale. Difficile sbagliarli.
Spostando l’attenzione ai particolari della performance tuttavia, emergono alcuni aspetti che influenzano negativamente il valore generale di questa messa in scena. Aspetti che non possono essere sottovalutati in quanto riguardano principalmente il ruolo del professor Woland e di Margherita, due tra i tre protagonisti dell’opera. Quello del professor Woland è sicuramente un ruolo molto difficile. Michele Riondino svolge un ottimo lavoro per quanto riguarda la rappresentazione esteriore del personaggio. Ma l’interpretazione (colpa del regista?) è condizionata dalla voce. Una voce roca che appesantisce l’intrinseca intensità del professor Woland, il Diavolo (“diabolicamente” affascinante e perturbante come si evince da racconto di Bulgakov). Il risultato di questa scelta è, quindi, un personaggio quasi caricaturale, decisamente privo di quel fascino e di quella sensualità descritta dall’autore.
Altra nota dolente (dal punto di vista della recitazione) è Margherita, interpretata da Federica Rossellini. Margherita è una donna che per amore è disposta a diventare strega e stare al fianco del diavolo. Nell’immaginario del lettore di Bulgakov, si staglia come una donna solida, forte, potente, dalle grida caustiche e irritanti. Nella messa in scena di Baracco, invece (probabilmente anche in questo caso per la scelta del regista) Margherita non giunge al compimento della sua trasformazione, non riesce a spiccare il volo come una vera strega, restando quel personaggio diafano che si incontra nelle prime scene. Ciò non toglie che il lavoro compiuto sulla narrazione della prima parte della storia d’amore tra il Maestro e Margherita (quando ancora Margherita è una donna fragile) è eccellente e rappresentato in maniera estremamente poetica.
Pregevole anche il lavoro di Marta Crisolini Malatesta su scenografia e costumi. La scenografia nera di ardesia composta solamente da tre pareti conferisce al palco un carattere compatto. Le scritte bianche di gesso (frenetiche, ma funzionali) si sposano molto bene col minimalismo dello spazio definito dalle pareti nere donandogli eccentricità. Uno spazio in generale che si dimostra coerente con ognuna delle scene rappresentate. Così come la scelta costumi, una selezione ben ragionata, soprattutto nel momento dei nudi di Margherita e Natasha che rimangono parziali, qui Crisolini Malatesta va sinceramente ringraziata per aver risparmiato agli spettatori il triste spettacolo del nudo totale (ormai privo del significato sovversivo che ha avuto nel teatro post-moderno), che viene oggi, senza tregua, riproposto almeno due o tre volte a stagione in ogni teatro. Straordinario anche il supporto dato dalle musiche di Giacomo Vezzani alla narrazione. Caratterizzate da bassi profondi e sonorità oscure, le musiche servono perfettamente gli scopi della trama, sottolineando in modo preciso e corretto i climax ascendenti di tensione narrativa.
Complessivamente, Il Maestro e Margherita di Baracco si dimostra uno spettacolo discretamente piacevole, soprattutto per quanto riguarda l’impatto visivo estetico. Consiglio per chi non ha letto il romanzo: almeno la trama va letta prima dello spettacolo se ne si vuole apprezzare anche la narrazione. Vista la tradizione di ricerca filologica e di rispetto del testo che il Piccolo Teatro porta nel suo DNA, ci si aspettava da un classico come Il Maestro e Margherita un’attenzione maggiore nei confronti dell’integrità del testo e di alcuni suoi dettagli.
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